Culture

Racconti di padri e di padri mancati

3 libri, 2 autori e 1 autrice, offrono nuove letture (e alcune riletture) del ruolo paterno

È facile scivolare nel zuccheroso, quando si parla dei nuovi papà. E la semplicità con cui li vezzeggiamo o ci commuoviamo quando compiono azioni eroiche, tipo dare una mano con i bambini, dovrebbe farci risuonare un campanello d’allarme: sono entrati davvero nel ruolo o tutto “combutta” per farne dei santi quando eseguono semplicemente il loro lavoro genitoriale?

3 libri suggeriscono strade interpretative diverse, legate però da un filo comune: proprio come la famiglia è in continua trasformazione sociale e culturale, anche i nuovi padri cercano di aprire altre strade e fanno i conti con un ruolo patriarcale sempre più sotto pressione.

Alcuni tornano a casa per scambiare i ruoli tradizionali, altri sono costretti a percorsi tortuosi che assegnano loro il ruolo di genitori mancati. E tra tante luci non mancano le ombre, come suggerisce il saggio di una studiosa americana che mette in guardia dalla relazione (troppo) romantica tra padri e figlie.

Buona lettura e buona festa del papà!

Il meraviglioso mondo dei papà, Diego di Franco, Giunti, 192 pagine, € 16,90

Non ama essere chiamato mammo, al massimo possiamo concedergli un inglesismo abbastanza cool come stay-at-home dad, ovvero il papà che sta a casa. E in effetti Diego di Franco è uno dei pochi uomini che (almeno in Italia) una scelta di campo rivoluzionaria l’ha fatta davvero: dopo aver perso il lavoro, dove stazionava parecchie ore al giorno come social media manager, si è trasferito tra le mura domestiche. Non come ospite né come smart worker: come genitore che segue l’educazione, l’evoluzione, le complicazioni di 2 figli ancora piccoli, e rassetta casa mentre cerca di far girare anche la sua attività da content creator.

Vista dalla sua prospettiva, è stato abbastanza semplice: sua moglie Raffaella è un’ingegnera e lavora parecchio fuori casa (e anche dentro, precisa lui in uno dei tanti video che sui social raccontano le sue imprese), lui oggi segue la loro costellazione familiare.

Napoletano di base a Milano, Diego è certo una rarità, e anche sotto l’ironia si intuisce il carico mentale delle sue giornate, che molto assomigliano a quelle di una qualsiasi madre alle prese con scuola, asilo, cene da preparare, giornate che durano solo 24 ore di cui 20 le passi dietro ai figli. Speriamo sia un buon esempio per tanti altri papà, anche se (per sua stessa ammissione) i suoi follower sono quasi tutte casalinghe…

Bella di papà - Un saggio sulla figura del padre nella cultura contemporanea, Katherine Angel, Blackie edizioni, 118 pagine, € 17

“Adoriamo i bravi padri” scrive Katherine Angel, un dottorato in Storia della psichiatria e della sessualità a Cambridge e autrice di una interessante indagine riguardo la paternità contemporanea. Ma questa adulazione, ci avvisa la studiosa, sottintende qualcosa di più complicato di un attestato di affetto: è una traccia che percorre la nostra cultura in profondità, presuppone l’esistenza di una specie di legame romantico tra padre e figlia, un copione di reciproca adorazione che il femminismo moderno non ha quasi mai messo in discussione, pur avendo puntato sempre il dito sul patriarcato.

Persino quando hanno condotte discutibili “la delusione nei confronti dei padri è sempre privatizzata e relegata al regno dei problemi personali” scrive Katherine Angel, che cita numerosi esempi di saggi, romanzi, film in cui il rapporto padre e figlie è compromesso ma sempre socialmente accettato. “Pensiamo alla relazione sessualizzata tra Donald Trump e la figlia Ivanka: l’ex presidente la valuta, la ammira, la oggettifica come farebbe con qualunque potenziale preda. Dichiara che se non fosse sua figlia, la corteggerebbe” dice Angel.

Ma ci sono esempi anche più sottili, come le commedie alla Ti presento i miei o i film in cui uno Steve Martin geloso non si capacita di dare in sposa la figlia, e giù risate. “Storicamente, il padre protegge la figlia, e proteggendola ne protegge il valore, come un bene di proprietà da dover cedere. La lascia andare nel mondo degli uomini a malincuore” dice l’autrice. Il più delle volte dimenticandosi, tuttavia, che di quel mondo fa parte anche lui.

Il tempo delle stelle, Massimiliano Virgilio, Rizzoli, 224 pagine, 17,10 €

Giuseppe e Lara desiderano dei figli ma i figli non arrivano. Si accomodano sul divano di un noto luminare, spendono soldi, si trovano davanti all’impossibilità di ricoprire un ruolo, quello di genitori, che si addice a tutti tranne a loro. La coppia è solida, fusa, perfettamente in sincronia, ma chi riceve una diagnosi di infertilità lo sa: davanti a un limite biologico, anche le relazioni più forti crollano.

E così accade. Lei si butta nel suo lavoro di assistente sociale, lui insegue da giornalista una storia di un padre omicida, riscoprendo tracce del suo passato. Le loro sofferenze tracciano percorsi individuali e noi seguiamo quelle di Giuseppe, che in questo libro racconta il suo punto di vista, la sua storia di paternità mancata, la traiettoria che lo porta a rinunciare al suo progetto genitoriale. A salutare per sempre la sua futura “stellina”.

“I desideri non esauditi non sono dei lutti” dicono i due protagonisti del romanzo, a un certo punto della storia. Eppure è così che si vive l’ostacolo dell’impossibilità procreativa, come una rinuncia a cui a un certo punto bisogna avere il coraggio di dire addio per aprirsi nuove strade genitoriali. Che non sono quelle convenzionali, ma molto hanno a che fare con l’idea della cura della coppia, del proprio lavoro, di chi incroceremo nella nostra vita anche se geneticamente non ci apparterrà.

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