Cosa succede se l’umanità affronta la crisi climatica solo dal suo punto di vista?

Uscire dal punto di vista della propria specie non è semplice. È già difficile incanalare il pensiero individuale in quello di altre creature, figurarsi quello collettivo.
Chiedere a una persona di includere nelle sue preoccupazioni le esigenze degli insetti, a esempio, rischia di suonare estremamente insensato, eppure, quando si comincia ad aggiungere la parola impollinatori lo sforzo cognitivo appare consequenziale e perfettamente logico.
Questo perché l’umanità ha integrato la necessità di mantenere una sana popolazione di impollinatori come essenziale per la propria esistenza.
Eppure, se pensiamo agli impollinatori, il discorso rimane fisso alla necessità di mantenerli in vita, punto. Che questi abbiamo bisogno di un ecosistema sano per prosperare, e non di macchie verdi per sopravvivere, non viene considerato. Tutte le specie viventi che abitano il nostro Pianeta sono pensate e tutelate in funzione dell’utile per l’umanità, senza riflettere sul loro diritto a una vita sana e prospera. Lo stesso dicasi per gli ambienti.
Gli oceani sono essenziali per l’equilibrio atmosferico, da soli sono responsabili dell’assorbimento di circa un terzo della CO2 presente nel sistema. Questa capacità ordinaria, che rientra nell’interazione fisiologica del mega ambiente con l’atmosfera, sta venendo via via inficiata dalla crescente concentrazione di gas serra e dall’incremento di temperatura. Di fatto, i normali cicli di corrente, responsabili tra le altre cose dell’equilibrio termico delle terre emerse, stanno venendo stravolti dal calore al punto da rendere loro difficile seguire il proprio percorso, diventando a loro volta un pericolo collaterale, direttamente correlato all’aumento termico dell’atmosfera.
Eppure, finché gli uragani non colpiscono la parte abitata dagli umani del mondo, il problema viene studiato e ignorato dal sistema politico internazionale.
Cosa accomuna oceani e impollinatori? La stessa cornice che collega le morie animali e le altre instabilità dell’ecosistema direttamente connesse alla crisi climatica: l’antropocentrismo climatico.
L’assetto culturale umano infatti colloca l’umanità al centro della sua concezione del mondo e dei suoi processi. Incancrenitosi grazie alle religioni che hanno fatto delle persone - tendenzialmente maschi - il centro dell’universo, la posizione dell’umanità come gruppo vivente privilegiato è un elemento non secondario nel dramma che stiamo abitando.
Il sistema produttivo, per citarne una, è imperniato sull’idea che tutto - risorse, ambienti, animali e umanità povera - debba servire a generare profitto concentrato. Un profitto intrecciato alla catena del fossile e direttamente responsabile dei processi che stanno costando l’esistenza alla biodiversità terrestre.
Eppure l’umanità non se ne cura. O meglio, una buona porzione se ne cura, ma quella che maggiormente è responsabile della crisi no. Le persone che non hanno scelta in merito e devono già sopravvivere alla crisi se ne interessano, eccome, mentre per gli altri vige ancora il semaforo verde.
Se l’umanità continua ad affrontare la crisi climatica senza contestualizzare e a includere le varie specie che abitano il Pianeta nell’analisi e nella valutazione dell’impatto della crisi stessa, non sarà in grado di comprenderne l’estensione né la gravità.
Continuerà di fatto a condannare la vita sulla Terra a una morte senza appello e con pochi testimoni silenziati. Senza nemmeno avere contezza di quanto anche la vita umana dipenda da quella della natura, animali compresi.
Dunque, appare evidente che per contrastare la crisi non basti una riforma economica, ma serva una vera e propria rivoluzione culturale che sposti l’umanità dal centro del proprio pensiero e la spinga a esercitare l’empatia minima essenziale per cogliere la sua reale pozione come parte del tutto.
L’utilitarismo sembra imperante e irremovibile, ma un’alternativa è possibile quanto necessaria.
Una volta che ci saremo rimossi dal vertice di cui solo noi come specie riconosciamo l’esistenza, allora forse avremo una chance per imparare a vivere con coerenza e, magari, fare qualcosa di meglio che sopravvivere.

