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Everything Everywhere All At Once, il film che ha creduto nel potere di essere diverso

Sembra uno scioglilingua ma è un film che ha vinto 7 Oscar domenica scorsa a Los Angeles. E ha fatto più di una piccola grande rivoluzione nel mondo del cinema
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18 marzo 2023 Aggiornato alle 11:00

Il 12 marzo 2023, a Los Angeles, ci sono stati gli Oscar, uno dei premi di cinema più importanti. Da allora, uno strano scioglilingua sembra essersi impossessato delle bocche dei giornalisti: Everything Everywhere All At Once. È inglese, vuol dire: “Tutto, dappertutto, contemporaneamente”. Ed è il titolo di un film che ha vinto 7 statuette d’oro.

Gli Oscar sono un po’ come Sanremo. Parlano di cinema come Sanremo parla di musica, ma quello che dicono - e quello che non dicono - va ben oltre l’arte. Di Sanremo si ascoltano le canzoni, ma si continua soprattutto a parlare di rose strapazzate sul palco, baci rubati e vestiti che mandano messaggi. Con gli Oscar è lo stesso: quello che dicono - e quello che non dicono - la dice lunga sul nostro mondo.

Everything Everywhere All At Once è un film tutto pazzo che mescola tanti generi. Ci sono scene d’azione, scene strappalacrime, sassi che parlano e gente con le dita a forma di wüstel.

È storia di Evelyn, una donna di origine cinese di una certa età. Ha un marito, Waymond, che è tenerissimo ma a lei sembra un po’ molliccio. Si sono sposati giovani e sono emigrati negli Stati Uniti, dove gestiscono una lavanderia a gettoni. Hanno una figlia, Joy, che è innamorata di un’altra ragazza e questa cosa non è presa benissimo.

Devono dichiarare le tasse e portare un sacco di carte alla signora Deirdre, che è antipaticissima e potrebbe far loro chiudere bottega. Da lì comincia un film assurdo con tanti universi che si mescolano ed Evelyn che deve salvare il mondo tirando fuori dei poteri nascosti.

È un film molto importante per la rappresentazione della comunità asiatica al cinema.

Purtroppo, negli Stati Uniti e in Occidente, di personaggi che vengono da tutti quei Paesi dell’Asia del Sud, dell’Est e del Sud-Est, se ne vedono pochissimi e sono spesso delle brutte caricature. Pensa a tutti i film che hai visto finora: se c’erano personaggi asiatici erano spesso impassibili maestri di arti marziali, misteriose e silenziosissime geishe e personaggi secondari al tempo un po’ ridicoli.

Peggio, per tanti anni il cinema ha fatto una cosa molto brutta chiamata yellowface, cioè dare dei ruoli di personaggi asiatici a degli attori bianchi, truccandoli e allungando loro gli occhi. C’era - anzi, c’è ancora - una sfiducia nella capacità delle persone asiatiche di essere le protagoniste di una buona storia.

Quando è arrivato il Covid-19 dalla Cina, la sfiducia e il razzismo nei confronti delle persone asiatiche, non solo cinesi, è aumentato un sacco, dappertutto, con brutti episodi di violenza. Sembrava che di questa pandemia fossero colpevoli tutti i Cinesi, anzi, tutti gli abitanti dell’Asia!

Everything Everywhere All At Once ha fatto una piccola grande rivoluzione. Ha parlato dei sino-americani, cioè dei cittadini americani di origine cinese. Anzi, li ha fatti trionfare. Li ha trasformati in eroi. Ma non negli eroi che conosciamo noi, tutti muscoli e orgoglio.

Ha inventato un nuovo modo di essere eroi, con dei maschi pieni di dolcezza e delle femmine dai comportamenti improbabili. Ha cambiato tutte le regole e ci ha fatto capire che non ci sono regole, solo rappresentazioni.

I registi, gli attori e le attrici che hanno vinto sono un esempio di questa disobbedienza alla regola che ci vorrebbe tutti uguali.

Ke Huy Quan, che ha vinto l’Oscar del Miglior Attore non protagonista, è scappato da bambino dal Vietnam e ha vissuto un anno in un campo profughi. Ha faticato a trovare lavoro nel cinema perché non c’erano ruoli per uomini come lui e stava per mollare tutto quando è arrivato questo film.

Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis, che hanno vinto l’Oscar della Miglior Attrice Protagonista e quello della Miglior Attrice Non Protagonista, hanno 60 e 64 anni. È difficilissimo vedere una donna trionfare a questa età, essere amata e applaudita.

Il cinema è un’industria ingiusta che preferisce le facce giovani e lisce, e la nostra società fa lo stesso. Ma la gente non ha mica la data di scadenza, non siamo mica degli yogurt! E vederle splendenti sul palco è stato bellissimo.

I due registi, che si chiamano Daniel Kwan e Daniel Scheinert, sono saliti sul palco e i loro vestiti erano tutto un messaggio. Daniel Scheinert è salito sul palco con un completo di seconda mano che mette spessissimo, mentre Daniel Kwan aveva un completo bordeaux che ricordava il maglione usato dal personaggio di Evelyn, un improbabile maglione rosso con sopra scritto “punk”. Un maschio che prende in prestito lo stile di una femmina è una cosa bellissima.

Insomma, Everything Everywhere All At Once ha creduto così tanto nel potere di essere diverso che alla fine ci hanno creduto tutti. Quanta bellezza, quando ci si fida di quello che non ci assomiglia: il mondo diventa davvero un posto dove è possibile tutto, dappertutto, contemporaneamente.

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