Diritti

Women’s World Cup: c’è differenza con i premi maschili?

Le calciatrici chiedono parità di condizioni ai Mondiali femminili 2023. Ma il gender gap nello sport è un problema endemico. Ne parla l’ex campionessa di tennis Sara Ventura a La Svolta
Credit: Instagram,com/@sara.ventura
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
17 marzo 2023 Aggiornato alle 13:00

Era il 2017 quando l’analisi di Bbc Sport rivelò che l’83% delle discipline prese in considerazione premiava uomini e donne allo stesso modo. Dei 68 organi sportivi contattati dall’emittente britannica, 55 avevano risposto all’appello, mostrando che gli sport che presentavano ancora le maggiori disparità erano il cricket, il golf e il calcio, nonostante nel corso degli anni i premi in denaro per le donne fossero aumentati notevolmente in queste discipline (lo studio non includeva salari, bonus o sponsorizzazioni).

Oggi, 6 anni dopo, le giocatrici di 25 squadre nazionali di calcio femminile, con il sostegno di un sindacato globale di giocatrici professioniste, chiedono parità di condizioni e premi in denaro equivalenti in vista dei Mondiali femminili, che si svolgeranno in Australia e Nuova Zelanda dal 20 luglio 2023.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la federazione internazionale dei calciatori professionisti Fifpro, che rappresenta 65.000 calciatori maschili e calciatrici femminili e i loro sindacati in tutto il mondo, ha inviato una lettera lo scorso ottobre al presidente della Fifa Gianni Infantino per spiegare le proposte delle atlete. La lettera è firmata dalle giocatrici di 25 nazionali femminili, tra cui le vincitrici della Coppa del Mondo femminile Germania, Giappone, Norvegia e la squadra 4 volte vincitrice degli Stati Uniti.

Il testo invita la Federazione internazionale delle associazioni calcistiche a mettere in atto 3 suggerimenti per “stabilire un percorso affinché le calciatrici abbiano prospettive economiche praticabili attraverso la portata, le risorse e gli impegni statutari già dichiarati della Fifa alla non discriminazione”. Tra queste, la definizione di un quadro paritario di regolamenti e condizioni (come viaggi, dimensioni della delegazione, sedi e strutture di allenamento) per la Coppa del Mondo maschile e femminile, compreso un premio in denaro uguale.

Le calciatrici chiedono anche di ricevere almeno il 30% del montepremi, “in modo che il nostro sport continui a svilupparsi professionalmente”. Secondo quanto scritto nella lettera, molte giocatrici non hanno accordi con le loro federazioni nazionali, a cui la Fifa paga premi in denaro per ottenere una percentuale di quanto vinto dalla loro squadra. La Women’s World Cup 2023, che sarà la più grande edizione di sempre e coinvolgerà 32 squadre, potrebbe avere un montepremi di 110 milioni di dollari: l’ha annunciato lo stesso Infantino, che ha anche promesso che l’organo di governo si sta battendo per ottenere la parità salariale.

Il premio in denaro per la Coppa del Mondo femminile del 2019 ammontava a 30 milioni di dollari, mentre la Coppa del Mondo maschile del 2022 in Qatar aveva un montepremi di 440 milioni di dollari. Molto dipende dagli sponsor e dai diritti di trasmissione del torneo, che la Fifa non ha ancora venduto: Infantino ha preso di mira gli offerenti, che proporrebbero «100 volte in meno» per i diritti del torneo femminile rispetto a quello maschile. Le giocatrici puntano il dito contro la Federazione, pur non fissando una scadenza o minacciando boicottaggi se le proposte non verranno adottate: “Avete affermato che «il calcio femminile è la più grande opportunità di crescita nel calcio di oggi e rimane una priorità assoluta per la Fifa. Sebbene il gioco sia cresciuto in modo esponenziale a tutti i livelli, la passione e la crescente popolarità di questo sport offrono un vasto potenziale non sfruttato»”.

«Chiaramente i guadagni maggiori delle competizioni maschili sono dovuti alla copertura mediatica maggiore rispetto agli sport femminili», spiega Sara Ventura, 15 volte campionessa italiana di tennis. Ha preso in mano la racchetta a 5 anni, a 28 anni ha raggiunto il 250° posto nella WTA, la Women’s Tennis Association, il cui ranking fornisce ogni anno un quadro delle tenniste più forti del panorama internazionale, e in quella italiana si è classificata 2.1. Oggi è titolare e direttrice tecnica della palestra che porta il suo nome: Sara Ventura Art and Body. «Io vengo dal tennis, che è forse la disciplina dove sono stati fatti più passi avanti rispetto al calcio, al basket e al golf. Ci sono state tenniste famosissime, come a esempio Serena Williams, che si sono battute molto in questo senso: lei ha condotto una grande battaglia sul gap salariale, aderendo a numerose campagne sul #metoo per i diritti delle donne», racconta Ventura.

«Nel tennis la battaglia è iniziata con Billie Jean King, una delle tenniste più grandi di tutti i tempi, che fondò il circuito internazionale femminile, la WTA, ottenendo per la prima volta agli U.S, Open, 1 dei 4 tornei più importanti dello Slam, la parità del Prize money per entrambi i sessi. Da lì, tutti i tornei del Grande Slam hanno raggiunto la parità in questo senso. L’ultimo è stato Wimbledon, un po’ più restio per via della sua tradizione antica e delle sue regole molto rigide».

Tutte queste battaglie, spiega Ventura, «sono state combattute senza l’appoggio dei giocatori uomini, e questo mi dispiace molto. Prendiamo l’esempio di Novak Djokovic, che è il primo giocatore del mondo: quando è stata fatta la richiesta della parità del prize money, si è dimostrato contrario. Le donne, secondo lui, sarebbero meno attrattive a livello di gioco, per questo gli sponsor danno meno soldi, ed è giusto che gli uomini ricevano ne ricevano di più nei tornei». Per fortuna ci sono le donne a farsi sentire.

«Gli Internazionali di tennis di Roma hanno una disparità di prize money per cui la vincitrice prende il 37% in meno rispetto al vincitore del torneo maschile», spiega Ventura. E il montepremi viene deciso dalle stesse organizzazioni internazionali che gestiscono i diritti dei tornei, ATP e WTA. Ma la disparità si respira anche nei tornei minori: «Anche in quelli italiani, tra professionisti e professioniste, a parità di categoria e classifica, il prize money è diverso. Io sono stata per tantissimi anni nella serie A, in classifica 2.1, e lì c’erano i miei colleghi maschi che prendevano più o meno il doppio rispetto a me e alle altre atlete».

La differenza tra i premi in denaro, però, non si trasmetteva negli allenamenti: «Gli allenatori (tutti uomini, ndr) mi hanno sempre trattata come un uomo, ma le donne devono essere preparate in modo diverso. Io, alta 1 metro e 70, sui 57 kg, facevo gli stessi esercizi di ragazzi alti 1 metro e 85 che pesavano 90 kg. L’allenamento, soprattutto fisico, non tecnico, dovrebbe essere totalmente diverso. C’era un’altra cultura, tanta disinformazione».

Oggi Ventura è una direttrice tecnica che nel suo spazio a Milano propone allenamenti mirati e dedicati anche a classi interamente al femminile. «Dopo la mia carriera nel tennis ho allenato per qualche anno delle ragazze che giocavano in serie A. Ma poi ho voluto cambiare, anche in seguito a una serie di infortuni pesanti. Ho deciso di lasciare da parte l’allenamento studiato per vincere. E ho deciso di diventare l’allenatrice che avrei sempre voluto avere».

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