Ambiente

Anche l’Europa fa greenwashing

La decisione della Commissione ha lasciato senza parole ambientalisti e investitori: centrali nucleari e gasdotti saranno considerati “sostenibili„. Ma c’è ancora tempo per opporsi
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3 febbraio 2022 Aggiornato alle 08:00

Nucleare verde? Gas naturale sostenibile? Per la Commissione Europea la risposta è si a entrambe le domande. Nonostante la grande opposizione fatta in queste settimane da scienziati, associazioni e vari politici, il potere esecutivo dell’Unione Europea ha confermato quanto si attendeva già da varie settimane. Gas e nucleare possono essere considerati investimenti green per sostenere la decarbonizzazione dell’economia e quindi degni di essere inclusi nella tassonomia Eu sui finanziamenti. Centrali nucleari e gasdotti, sebbene in maniera transitoria, saranno equiparati ad aree naturali e centrali fotovoltaiche.

Quanto avvenuto consiste di fatto in un tradimento del Green Deal Europeo e una luce verde per continuare a investire in progetti legati alle fonti fossili e nucleari. L’Europa non poteva fornire un esempio migliore di greenwashing, danneggiando pesantemente chi fa investimenti davvero sostenibili.

Sul nucleare hanno provato a fare sbarramento fino all’ultimo Germania e Austria. «L’energia nucleare non è né “verde” né sostenibile» ha scritto mercoledì su Twitter il cancelliere austriaco Karl Nehammer. «Non riesco a capire la decisione dell’Ue». Inorridite le associazioni ambientaliste, mentre gioiscono i nuovi aedi dell’atomo, che dovrebbero fare un bel viaggio nelle regioni estrattive dell’uranio o abitare nei pressi di un deposito di stoccaggio temporaneo.

Fortissimo lo sdegno sul gas naturale che costituisce una sconfitta ancora più grande. Fino al 2030 si potranno finanziare nuove centrali a gas con emissioni non superiori a 270 g di CO2e/kWh . Cioè qualsiasi centrale convenzionale.

Mentre il governo spagnolo ha condotto una fiera opposizione alla proposta, l’Italia ha preferito non dire nulla sul nucleare ma ha sostenuto addirittura un ulteriore allargamento delle maglie a favore del gas.

Oltre ad ambientalisti e Fridays for Future, a storcere il naso sono anche le piazze affari e una bella fetta di investitori finanziari. Mentre le multinazionali del fossile stappano champagne, numerosi gestori di fondi hanno arricciato il naso. Niente commenti on the record, ma a microfoni spenti il giudizio è unanime: la Commissione ha fatto una “porcata”.

Ora c’è il rischio di rallentare fondi e investimenti in rinnovabili, efficientamento energetico ed economia circolare, mormorano in tanti. Qualcuno ci mette la faccia: l’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), con oltre 370 membri che includono alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo - e rappresentano 50 trilioni di euro di asset in gestione - ha ripetutamente invitato i leader europei a escludere il gas dalla tassonomia dell’Ue, in quanto minerebbe la sua credibilità e gli impegni emissioni nette zero. Tra gli operatori privati più vocali a osteggiare la proposta firme come Mirova, Triodos, ESG Portfolio Management, Fasanara Capital e Aream. Ma nemmeno i poteri forti sono riusciti contro i signori del fossile (e la miopia e inettitudine dei conservatori europei)

Dice bene Laurence Tubiana, CEO della European Climate Foundation: «La tassonomia dell’Ue è stata concepita come uno strumento fondamentale per allineare i flussi finanziari all’accordo di Parigi. Al contrario, l’Europa sta minando la sua leadership sul clima e abbassando gli standard dentro i suoi confini e oltre. Quando un gold standard emergerà altrove, questa tassonomia verrà lasciata indietro».

Un grave danno, insomma, per la finanza Europea e la reputazione della Commissione. Cosa si può fare, dunque? Ora la palla passa al Consiglio della Ue e al Parlamento che possono approvare o bloccare l’Atto della Commissione.

Una volta pubblicato l’atto delegato nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, il Parlamento europeo e il Consiglio avviano un processo di controllo che può durare fino a 6 mesi. Il Consiglio istituzione può porre il veto a questo atto se almeno 20 Paesi si oppongono all’adozione. Oppure il Parlamento Europeo può chiedere lo stop se almeno 353 eurodeputati lo ritengono inadatto. Se nessuna delle istituzioni vi si oppone, l’atto delegato diventa automaticamente diritto dell’Ue.

Una speranza dunque esiste, e risiede nei rappresentanti dei cittadini. L’Italia ha 73 membri del Parlamento. Seguiremo da vicino chi voterà a favore e chi contro. Il mondo finanziario alzi la voce e si faccia sentire. Così come la politica, che solo in pochi casi ha fatto davvero sentire la voce su questo importantissimo tema.

In collaborazione con Materia Rinnovabile

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