Ambiente

Direttiva case green: quali trasformazioni ci attendono?

Avere edifici più efficienti significa bollette meno care, comfort termico e valorizzazione degli immobili. Ma secondo l’Associazione nazionale costruttori edili servono più muratori, idraulici, elettricisti
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16 marzo 2023 Aggiornato alle 13:00

L’atteggiamento del Governo italiano riguardo la proposta di direttiva sull’efficientamento degli edifici è stato analogo a quello tenuto nei confronti della proposta sulla mobilità elettrica. Per Salvini la spinta verso le case “green” sarebbe «una patrimoniale mascherata».

Meloni aveva rivendicato il rallentamento dell’approvazione del passaggio delle vendite solo alle auto elettriche dal 2035: «È un nostro successo». Il ministro Urso: «Abbiamo svegliato l’Europa».

In realtà, ricordiamo che le istituzioni comunitarie accelerano perché siamo indietro rispetto agli obiettivi climatici al 2030. I Paesi dell’Ue hanno ridotto di un quarto le emissioni climalteranti rispetto al 1990, ma dovremmo ridurle del 55% al 2030, cioè fra 7 anni e mezzo.

E gli effetti della siccità in molti Paesi sotto i nostri occhi non sono che uno dei tanti aspetti di una emergenza climatica che incombe.

In realtà c’è anche un motivo più diretto della direttiva edifici che riguarda direttamente le esigenze dei cittadini. La spinta a rendere i nostri edifici più efficienti consente infatti di ridurre fortemente le bollette, migliora il comfort termico degli ambienti, valorizza gli immobili (un edificio di classe A vale almeno il 30% in più di uno di classe G).

Non è un caso che l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) condivida l’impostazione della direttiva ritenendo “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani e sottolineando contemporaneamente l’importanza di individuare le risorse necessarie.

Ovviamente gli incentivi ci saranno, come sono esistiti dal 2006, ma indubbiamente bisogna accelerare. Si stima infatti che dobbiamo intervenire su 1,6 milioni di edifici, il che implica 160.000 riqualificazioni l’anno. Nell’ultimo ventennio in Italia, come nel resto d’Europa, il ritmo degli interventi è stato pari all’1% della superficie costruita, mentre dovremmo gradualmente raddoppiare questa percentuale.

Sono molti gli elementi interessanti della direttiva ma ne ricordiamo uno e cioè lo stop agli incentivi alle caldaie dal 2024, mentre noi abbiamo continuato a sostenere questa tecnologia. Una tempestiva eliminazione delle caldaie a combustibili fossili consentirebbe di risparmiare l’8% delle importazioni di gas dell’Ue.

Ma quali trasformazioni ci aspettano? Sempre l’Ance sottolinea che servirebbe un grande rafforzamento del numero di muratori, idraulici, elettricisti, falegnami e incolpa un sistema formativo inadeguato.

Tutto vero, ma questa constatazione sottolinea le grandi prospettive occupazionali che si aprono in questo settore. La definizione di obiettivi ambiziosi comporterà la creazione di una quantità notevole di nuovi posti di lavoro.

In realtà, questa sfida impone anche una rivisitazione dei modelli di lavoro delle imprese del settore, fino ad arrivare a una forte transizione, come proposto dalla industrializzazione della riqualificazione che accorcia tempi e costi secondo il modello Energiesprong, partito in Olanda e poi attecchito in altri Paesi europei.

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