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I lombrichi salveranno il Pianeta?

Sulla vita sfortunata dei vermi è un libro illustrato, un podcast, un piccolo “trattato di storia naturale” per riabilitare l’animale meno amato al mondo. Eppure, eroe dell’ecosistema
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18 marzo 2023 Aggiornato alle 07:00

C’è chi si affeziona ai cani, chi alle salamandre, chi ai toporagno. Noemi Vola ha deciso di osservare da vicino, per 4 lunghi anni, quei piccoli e straordinari animali reietti che chiamiamo vermi, e che in realtà sono lombrichi con tantissimi parenti sulla (anzi sotto) Terra: ne esistono circa 700 specie in tutto il mondo.

L’illustratrice li ha seguiti nel loro lento e misterioso lavoro e ne ha ricavato un curioso libro illustrato, un podcast, un sito e persino alcune alte considerazioni filosofiche riassunte nel progetto Sulla vita sfortunata dei vermi. Trattato abbastanza breve di storia naturale.

Personalmente mi sono divertita molto a scorrere le pagine del volume edito da Corraini (29,00 euro, 256 pagine) a riprova di come gli illustrati siano ormai destinati a un pubblico eterogeneo e senza età, e non più confinati solo agli scaffali delle letture per l’infanzia. Anche le 4 puntate del podcast scorrono veloci e viaggiano a metà tra lezione di scienze e divertissement con gli interventi di un entomologo, uno storico della filosofia, un allevatore e un’organizzatrice di succulenti talk sugli insetti commestibili.

Mentre scrivevo questo articolo mi sono persino imbattuta in una notizia in tema: una misteriosa pioggia di vermi in Cina, a Pechino, sulla quale si sono fatte teorie diverse, da un uragano che ne ha sollevati e trasportati a migliaia alla più banale germogliatura dei fiori di pioppo, i cui baccelli scuri di forma allungata cadono a terra in questa stagione e sembrano strisciare.

Insomma, di vermi ogni tanto si sente parlare ma mai così tanto come dovremmo: questi esseri lunghi da 12 a 30 centimetri, dotati di 5 cuori e 6 reni e che immolano la propria vita a scavare gallerie nel terreno, hanno una funzione fondamentale per il Pianeta, al punto che fin dall’antichità se ne era intuito il potenziale.

Cleopatra promulgò un editto per infliggere la pena di morte a chiunque togliesse un lombrico nella valle del Nilo, in offesa del dio della fertilità.

Charles Darwin dedicò loro uno studio approfondito e la sua ultima opera scientifica del 1881 si intitola L’azione dei vermi, nella quale affermava che nessuno aveva fatto mai così tanto nella storia dell’umanità come questi invertebrati.

Cosa combinano, dunque, di così eccezionale? Come spiega nel podcast l’entomologo Gianumberto Accinelli, i lombrichi mangiano la terra alla ricerca di detriti vegetali in decomposizione, che poi digeriscono e restituiscono al mondo arricchiti di sostanze di scarto, di ormoni, di carbonio. Producono composti preziosissimi per le piante e scavando lunghe gallerie arieggiano anche il terreno, permettendo alle radici di respirare e all’acqua di percolare, ovvero di non ristagnare.

Quando ancora l’essere umano non aveva inventato l’aratro, poteva dunque contare su migliaia di piccoli lavoratori indifesi che in genere escono di casa solo quando piove o di notte per non seccarsi al sole. Ma così si espongono a pericoli non indifferenti, diventano preda di piccioni, galline, ricci, rane, fulmini, umani che li calpestano, tagliaerba che li tranciano in 2 (incidente che però non sempre li uccide).

Sottoterra devono solo temere le talpe, tanto che se vuoi catturarli ti basta piantare un palo e iniziare a percuoterlo. Il rumore simula il verso dell’animale e la vibrazione fa uscire fuori i poveri invertebrati spaventati, che si candidano a diventare un bel bocconcino.

Immagino ti farà anche piacere sapere che i lombrichi sono ciechi, sordi ed ermafroditi e condividono con noi il 62% del Dna. A differenza dei bruchi, che diventano farfalle, rimangono viscidi e striscianti per sempre. Il loro colore varia da rosa corallo a rosa cocomero, sono formati da tanti anelli ed è abbastanza difficile anche per loro distinguere la coda dalla testa, tanto che spesso si attorcigliano perché non si mettono d’accordo sulla direzione da prendere.

Pare che dopo un viaggio a Stonehenge, Darwin si accorse di quanto fossero preziosi anche per conservare i reperti archeologici: ingollando il terreno, i vermi creavano diversi strati di terriccio in cui le antiche rovine sprofondavano senza deteriorarsi, cosa che invece accade quando rimangono secoli in balia degli agenti atmosferici.

Come racconta lo storico Giacomo Scarpelli, il grande scienziato inglese si appassionò così tanto ai vermi da trasformare la sala biliardo della sua villa di campagna in un terrario, dove scendeva a studiare gli esemplari anche di notte.

Per non svegliarli li illuminava con una lanterna da ferrovieri con lenti rosse e blu, salvo poi scoprire che non vedevano. Per studiare il funzionamento dei loro sensi, chiedeva ai nipotini di suonare fischietti e trombette vicino ai terrari, scoprendo che reagivano solo alle vibrazioni. Vide un barlume di creatività osservandoli scavare piccole gallerie infilando frammenti di foglie di cavolo per la punta, intuendo che l’intelligenza non fosse prerogativa dell’essere umano, dei mammiferi superiori, ma di tutto il regno vivente.

Darwin arrivò persino a formulare una metafora di tutto rispetto: il lavoro lento, sotterraneo, umile, impercettibile del lombrico è come “l’evoluzione cieca e paziente” dell’umanità.

Insomma, ora che sai qualcosa in più su questi piccoli eroi dell’ecosistema, occhio a dove metti i piedi fuori. Soprattutto quando piove.

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