Economia

L’intelligenza artificiale ci licenzierà?

Il settore delle risorse umane è in mezzo al fuoco incrociato. Da un lato la crisi spinge ai licenziamenti, dall’altro l’AI sostituisce le persone. E manda in pensione le soft skills
Credit: Adam Jícha
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
14 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Tutto cambia. In questa congiuntura in particolare, tutto cambia molto velocemente e talvolta in maniera del tutto inaspettata.

Avevamo appena familiarizzato con il concetto delle Great Resignation: circa 47 milioni di persone che avevano lasciato il proprio lavoro nel 2021. E ora, nel giro di pochissimi mesi, le grandi (anzi grandissime) imprese più note al mondo stanno licenziando in massa: si parla di circa 150.000 persone che si sono ritrovate senza lavoro. Qualche esempio? Microsoft ne ha licenziate 10.000, Google ha già previsto che ne taglierà 12.000.

Riduzione dei costi, senza dubbio. Ma anche cambio di strategia. Perché parte del denaro risparmiato verrà utilizzato per effettuare investimenti in intelligenza artificiale. Per Microsoft, probabilmente, saranno 10 miliardi di dollari.

Secondo i Fortune Business Insights, a livello globale il settore delle tecnologie applicate alla gestione delle risorse umane crescerà dai 24 miliardi di dollari del 2021 a 36 miliardi del 2028. Mi viene un dubbio: saranno usati per licenziare? In realtà, per la normativa statunitense non si potrebbe (a meno che non si riesca a dimostrare che l’algoritmo abbia agito in maniera discriminatoria). Ma facciamo chiarezza.

A cosa serve l’intelligenza artificiale?

E, soprattutto, cos’è? In parole semplici, è una tecnologia che simula l’intelligenza umana utilizzando macchinari e computer. Tra le sue capacità, quella di raccogliere una quantità enorme di dati, elaborare previsioni, risolvere problemi.

Come si può applicare al settore delle risorse umane? La chiamano HR Tech e viene utilizzata, a esempio, per sistematizzare i dati sulle posizioni lavorative aperte e sulle competenze richieste per ciascuna di esse.

Poi, per organizzare le priorità rispetto alle necessità di assunzione, per identificare i talenti necessari e cercarli sul mercato del lavoro. Come? Ma ovviamente, attraverso messaggi customizzati che aiutano a raggiungere esattamente le persone con il profilo perfetto nell’immensità del web.

Ancora, si può utilizzare l’intelligenza artificiale per ridurre il tempo necessario per valutare aspetti dei candidati come le loro competenze comunicative (se vi state chiedendo come, lo si fa utilizzando sistemi di dialogo virtuali, come con il selezionatore virtuale: sì, parlereste a un avatar).

Che fine hanno fatto le soft skills?

Il settore delle risorse umane è quindi in mezzo al fuoco incrociato. Da un lato, la crisi che spinge ai licenziamenti, dall’altro, l’intelligenza artificiale che sostituisce le persone. Eh, sì, perché, secondo i dati di 365 Data Science, il 28% delle persone licenziate (quasi una su tre) lavoravano proprio nelle risorse umane.

Ecco come, un’altra volta, tutto cambia.

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di empatia nella gestione delle persone che lavorano nelle aziende. Di soft skills, in cui mai l’intelligenza artificiale sarebbe stata in grado di sostituire l’essere umano.

Di leadership gentile (sì, abbiamo avuto bisogno che qualcuno elaborasse una teoria per capire che le persone lavano meglio se i capi non gli urlano in faccia!). Insomma, avevamo avuto l’impressione che il mercato si stesse umanizzando, che avessimo capito qualcosa. E invece, forse, no.

Insomma, c’è da fidarsi? Quali rischi stiamo correndo? Uno su tutti: gli errori non intenzionali nella tecnologia dell’intelligenza artificiale tendono a rafforzare i pregiudizi. Questa è una tecnologia che è tanto più valida quanto più lo sono gli esseri umani che la costruiscono. Qual è il problema? Che i dati esistenti, ovvero quelli che vengono utilizzati per addestrare i sistemi e i software di intelligenza artificiale rischiano di ricreare e perfino amplificare i pregiudizi preesistenti. Sì, perché nonostante si offra per ridurre l’errore umano, la tecnologia dell’intelligenza artificiale può ancora essere costruita su premesse fondamentalmente imperfette. Anche nel settore delle risorse umane.

Un esempio? Una delle tecnologie utilizzate per la selezione delle risorse umane misura le espressioni facciali e il tono vocale delle persone candidate, presupponendo che questi fattori offrano informazioni rilevanti sulla loro idoneità per il ruolo aperto. Senza considerare che queste caratteristiche possono variare da cultura a cultura e possono essere influenzate dalle circostanze.

E si rischia di discriminare coloro che che non si adattino a un canone prestabilito, che ci vorrebbe tutti uguali.

Mentre il bello sta proprio tutto lì: nel fatto che ciascuno di noi è totalmente unico.

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