Ambiente

Idroelettrico: è scontro sulle concessioni

In Italia il 17% delle assegnazioni delle grandi centrali è scaduto o scade quest’anno. Un ulteriore 69%, oggi affidato a Enel, lo sarà nel 2029. Se le Regioni non troveranno una soluzione, deciderà lo Stato
Credit: Francisco Kemeny
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14 marzo 2023 Aggiornato alle 11:00

Anche se tra le tecnologie per produrre energia pulita è una delle più datate, l’idroelettrico è ancora redditizio. Nel 2023 sono in scadenza o sono scadute il 17% delle concessioni delle grandi centrali e questo ha aperto una serie di scontri, tra chi vuole la proroga e chi insiste per nuovi bandi di gara, su tutto il territorio italiano. Se le Regioni non riusciranno a dirimere le questioni in tempo utile, subentrerà lo Stato Centrale.

Il caso che ha riaperto la questione è quello di un impianto nella provincia di Trento. L’amministrazione, targata Lega, vuole lasciare la gestione alla Idro-Dolomiti, società a partecipazione pubblica che gestisce la gran parte degli impianti trentini. I cittadini sarebbero favorevoli, ma chiedono all’azienda interventi di bonifica dei fiumi e dell’ambiente naturale. Per il Governo di Roma, però, la proroga è in conflitto con la legge nazionale sulle nuove assegnazioni.

La materia ha diverse sfaccettature e cambia a seconda del territorio. Basti pensare che in Lombardia, è sempre la Lega a chiedere da anni che le concessioni vengano tolte alle aziende idroelettriche pubbliche e rimesse sul mercato, a vantaggio di società miste.

Aprire un bando per le assegnazioni potrebbe significare introiti cospicui per le casse dello Stato, sia per i canoni d’affitto sia per le procedure di partecipazione alla gara. Le proroghe per i territori interessati, però, possono tradursi in investimenti da parte delle aziende. Lo spiega un report commissionato negli scorsi mesi da Enel, Edison e A2A a The European House – Ambrosetti: “L’introduzione di una rideterminazione della durata delle concessioni idroelettriche (con un prolungamento di almeno 10 anni, ndr) permetterebbe agli operatori di investire in Italia 9 miliardi di euro aggiuntivi rispetto allo scenario attuale”.

Il tempo stringe e le situazioni da valutare, per il governo e le giunte regionali, sono molte. In Italia ci sono 532 grandi dighe. Di queste 309 (il 60%) sono a uso prevalentemente idroelettrico e, dalle liberalizzazioni del 1999, vengono gestiti da 28 operatori. Otre ai colossi aEnel, Edison, Alperia Greenpower e A2A, che curano 232 impianti, c’è una galassia di concessionari più piccoli, ai quali fa molto spesso capo anche una sola diga. Come abbiamo visto, quest’anno il 17% di queste assegnazioni sono in scadenza, mentre nel 2029 lo sarà un ulteriore 69%. Si tratta delle centrali gestite da Enel.

Per i prossimi anni si prospetta uno scenario caotico. “L’Italia è, infatti, tra i pochi Paesi ad aver adeguato la propria normativa, a seguito delle procedure di infrazione della Commissione Europea (sulla concorrenza), ma il risultato è stata l’adozione di una normativa in modo spesso confuso e disomogeneo – spiega il report Ambrosetti – Il nostro è “l’unico Paese in Europa ad aver aperto in modo così ampio il proprio mercato”, al contrario degli altri membri dell’Ue. Ciò significa che ai nuovi bandi per le dighe italiane potrebbero partecipare anche le società europee, anche se alle aziende italiane è precluso il mercato estero.

Inoltre, le procedure per le concessioni cambiano a seconda dei territori, anche nell’Italia stessa, e non sono chiare le differenze di prerogative delle giunte locali e del governo di Roma. “Le derivazioni per uso idroelettrico abbracciano infatti diverse competenze, alcune di esclusivamente statali, altre concorrenti tra Stato e Regioni. In particolare, la materia delle concessioni idroelettriche riguarda la tutela della concorrenza, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. – afferma il report - L’art. 117 della Costituzione prevede che le prime due (concorrenza e ambiente) siano di esclusiva potestà legislativa statale mentre la terza competa alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni”.

La lentezza della burocrazia italiana, in vista delle nuove gare, spaventa le aziende, i cittadini e anche le associazioni ambientaliste: oltre ai profitti, potrebbero mettere a rischio gli sforzi italiani verso la decarbonizzazione di un settore chiave, come quello dell’energia.

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