Diritti

Come stanno le donne nel mondo?

Negli ultimi anni (e mesi) in Afghanistan e Iran i diritti femminili sono stati calpestati, negati, ridotti al minimo. In Africa è ancora comune praticare la mutilazione genitale alle bambine. E l’Italia?
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale della Donna, l'8 Marzo 2023
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale della Donna, l'8 Marzo 2023 Credit: ANSA/US QUIRINALE/FRANCESCO AMMENDOLA
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9 marzo 2023 Aggiornato alle 14:00

Ieri al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ospitato donne di Paesi dove i diritti sono una chimera, Iran e Afghanistan in prima linea. Oggi la Commissione giustizia al Senato voterà, e dovrebbe approvare, il Codice rosso rafforzato. Finalmente passi avanti e più attenzione da parte di tutti per la “questione femminile”.

Ieri in tutto il mondo abbiamo celebrato la ricorrenza dell’8 marzo, comunemente chiamata festa della donna. Ma ha un modo diverso e più corretto di essere definita, ossia Giornata Internazionale della Donna. Approfondiamo un concetto legato a questa ricorrenza, ossia il motivo per cui si ricorda e festeggia.

Partiamo dunque, dalla genesi. Le origini non sono del tutto chiare, tuttavia per molti storici risale al 1914. Nel 1908, negli Usa, si tenne una conferenza presieduta da Corinne Brown, autorevole esponente del partito socialista americano, nella quale si discusse la questione del suffragio universale, lo sfruttamento delle operaie e in generale le discriminazioni che avvenivano in base al genere.

L’evento ebbe molto risalto e vi furono altre giornate simili in diversi Paesi, come Finlandia, Germania, Austria, Danimarca, Svizzera e Russia. La prima volta che la giornata internazionale della donna si tenne l’8 marzo fu nel 1914, in Germania, quando le donne si riunirono per protestare contro gli orrori della guerra in corso e per solidarietà nei confronti delle donne russe, che già nel 1913 avevano indetto una giornata internazionale per protestare contro l’oppressione del regime zarista e la guerra.

Ma fu solo il 16 dicembre 1977 che l’assemblea generale delle Nazioni Unite propose che ogni 8 marzo fosse dichiarata festa internazionale, per difendere i diritti delle donne e della pace in tutto il mondo.

Ora, il motivo per cui è preferibile chiamare la ricorrenza Giornata Internazionale dell’8 marzo piuttosto che “festa”, è intelligibile nel momento in cui ci ponessimo alcune domande e le trovassimo retoriche. Possiamo noi donne abbassare la guardia? Abbiamo gli stessi diritti degli uomini in tutti i Paesi del mondo? E le loro stesse opportunità, anche qui in Italia? Sono finiti gli orrori della guerra?

Le domande sembrano decisamente retoriche. Non solo festa con omaggio di mimose, dunque, che pure vanno bene, per carità, ma consapevolezza e coraggio da parte di noi donne, perché il percorso di crescita non è finito.

Le donne in Iran

Prima di parlare della condizione delle donne in Italia, è necessario prendere in esame la situazione in cui versano le donne nei Paesi a cultura islamica. Lì, in Iran, in Afghanistan, in diverse nazioni africane, vige uno stato dei fatti che potremmo considerare paradossale o assurdo se non fosse così crudelmente reale. I media ci stanno mostrando notizie e immagini dall’Iran, nelle quali le donne, evidentemente sfinite dall’assurdo regime iraniano di Khamanei, si stanno opponendo al Governo con un coraggio che non possiamo che definire commovente.

Sono pronte a dare la vita: in molte l’hanno già fatto e altre lo faranno. È facile supporre che il motivo sia che, quella che vivono, non la considerano più vita. L’input è stato l’uso obbligatorio del hijab, il velo, ma credo che si tratti di una contestazione globale del regime, la volontà di una rivoluzione.

L’input, dunque, è stato l’arresto della giovane Mahsa Amini perché indossava il velo in maniera scorretta. Fu torturata e infine uccisa dalla polizia morale. Da lì è partita la rivolta che, finalmente e fortunatamente, ha visto anche la partecipazione di numerosi uomini a fianco delle donne. Sfortunatamente, invece, almeno 500 persone, tra i quali bambini, hanno perso la vita per l’inflessibile repressione ordinata dal regime. E ci sono stati almeno 20.000 arresti.

Gli intellettuali iraniani, che non mancano in quel Paese dalla ricca e antica storia, si stanno mobilitando, esprimendo con coraggio la loro posizione a favore dei diritti umani e in particolare delle donne. Il fatto positivo è che il germe della speranza sembra stia dilagando nella società civile, che ci sia una crepa nel regime e che addirittura una nipote dell’ayatollah abbia espresso opinioni a favore della protesta. Purtroppo, anche lei è stata arrestata ma l’esempio dato non può passare inosservato, come è rimasta inosservata la protesta dei calciatori della nazionale iraniana che non hanno cantato l’inno ai Mondiali. L’esempio l’hanno dato anche le studentesse con le manifestazioni a scuola.

La speranza degli iraniani, in sostanza, è che il regime non potrà uccidere o arrestare tutto il popolo! Altrimenti, su chi governerebbe? Ma la fine non sembra vicina, anzi: proprio qualche giorno fa, alcune studentesse sono state avvelenate con composti gassosi a scuola.

Sono lodevoli i tentativi di protesta in tutto il Paese, uniti dallo slogan “Donne, Vita, Libertà” e dai comuni intenti. Ma ciò che serve davvero per pensare di vincere la battaglia è un centro di comando organizzato e magari una guida, un leader, un’organizzazione alternativa al regime. La storia ci insegna che le rivoluzioni riescono se appoggiate (purtroppo, ma necessariamente) da un Governo di uno Stato forte.

Tutti pensiamo agli Usa. Ma non so se stavolta quello che è sarcasticamente considerato lo Stato che interviene nel mondo per fini economici, avrà forza e volontà di intervenire. Troppe questioni in tutto il mondo stanno dilaniando i rapporti tra Stati, la guerra in Ucraina in primis. Stiamo rischiando la tempesta perfetta.

Le donne in Afghanistan

In Afghanistan, poi, le donne non possono compiere gli studi superiori e ricoprire cariche pubbliche: prima dell’avvento del regime talebano, lavoravano in magistratura e in politica. Ora non possono nemmeno votare e addirittura uscire di casa se non accompagnate da un uomo.

Le donne (e le bambine) in Africa

In generale, la condizione delle donne in Asia e Africa non è paragonabile a quella che vige nel mondo più evoluto. Ma questo può bastare solo come consolazione. Neanche troppo magra, se pensiamo a quello cui abbiamo accennato. Ma in alcune zone dell’Africa, si pratica ancora l’infibulazione alle bambine.

E in Italia?

In Italia, in maniera più evidente rispetto al mondo anglosassone, il problema riguarda la mancanza di pari opportunità rispetto ai posti di comando che, diciamolo, sono ancora appannaggio degli uomini. Eppure, le statistiche dicono che le donne sono in media più istruite e si laureano prima degli uomini.

Certamente parte di questo squilibrio deriva dall’atteggiamento mentale delle donne, mediamente meno ambiziose e più propense a ottenere un lavoro meno importante per potersi dedicare alla costruzione di una famiglia. Ma c’è dell’altro. Da decenni i ruoli direttivi sono stati assorbiti e presi dagli uomini e ora è più difficile per una donna dalle spiccate capacità, accompagnata da una sana ambizione, entrarvi a pieno titolo. Qualcuna ce l’ha fatta. Mi complimento con Maria Montessori, Grazia Deledda, Rita Levi Montalcini, Nilde Iotti, Alda Merini e tante altre che potrei menzionare, tra cui Giorgia Meloni, che ne ha citate 16 nel suo discorso per la fiducia alla Camera.

È però giusto terminare l’articolo con un moto di speranza e di fiducia. Pian piano i meandri del potere, che tanto gelosamente custodiscono gli uomini, saranno condivisi, nello stesso numero, dalle donne. È un fatto matematico, se ci pensiamo bene. Basterà aggiungere un tassello femminile alla volta in quei centri. Il resto si completerà come logica conseguenza.

Claudia Conte

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