Ambiente

Incendi e buco dell’ozono, una relazione pericolosa

Un team di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology ha indagato le reazioni chimiche che, in Australia, a causa del fumo degli incendi hanno contribuito ad allargare il varco nell’ozonosfera tra il 3% e il 5%
Credit: EPA/ADRIANA THOMASA
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10 marzo 2023 Aggiornato alle 18:00

Vi ricordate i devastanti incendi che colpirono l’Australia nel 2019 e il 2020?

Beh, a quanto pare, non solo hanno messo in ginocchio gli ecosistemi del Paese, ma hanno anche contribuito ad allargare il buco dell’ozono.

Una nuova ricerca, portata avanti dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (Mit), svela infatti che durante i roghi, diventati ancor più intensi e impattanti a causa della crisi climatica, sono state rilasciate sostanze chimiche che hanno di fatto contribuito a estendere e prolungare il buco dell’ozono.

In particolare, gli esperti si sono concentrati sulla combinazione fra fumo e molecole contenenti cloro nella stratosfera tali da “allargare” il famoso buco nello strato che protegge la Terra di raggi ultravioletti: nei mesi successivi agli incendi australiani il buco era più grande ed è durato più a lungo rispetto agli anni precedenti.

Secondo i ricercatori, il motivo è da ricercare proprio nel fatto che il fumo, capace di raggiungere altezze di 30 chilometri, potrebbe aver causato una reazione chimica particolare. Secondo gli esperti, l’acido cloridrico si attacca alla superficie delle particelle di fumo e reagisce con altre molecole per produrre cloro molecolare, che viene scomposto alla luce solare in atomi di cloro altamente reattivi e che si trasformano in “mangiatori di ozono”.

“Il fumo degli incendi a temperature calde fa cose sull’Australia che altrimenti non potrebbero accadere” spiegano dal Mit.

Quanto accaduto preoccupa gli stessi esperti in vista del futuro.

Se è vero che infatti che grazie al Protocollo di Montreal (che vieta sostanze pericolose come i clorofluorocarburi) il buco dell’ozono si potrebbe chiudersi intorno al 2060, è anche vero che “gli incendi più frequenti derivanti dai cambiamenti climatici potrebbero mettere in pericolo il ripristino dello strato di ozono” sostengono i ricercatori.

La scoperta di come il fumo degli incendi può avviare una sorta di “cascata chimica” che produce monossido di cloro, con seri danni per lo strato di ozono, pone dunque nuove attenzioni relativi ai danni da roghi, soprattutto in aree come l’Australia con caratteristiche climatiche particolari.

Proprio in Australia, secondo le stime, i roghi avrebbero “mangiato” dal 3 al 5% dello strato di ozono soprattutto alle medie latitudini dell’emisfero australe, sopra l’Australia, la Nuova Zelanda e parti dell’Africa e del Sud America.

“I nostri risultati indicano che le reazioni chimiche dell’aerosol degli incendi, pur non essendo responsabile della durata record del buco dell’ozono antartico del 2020, produce un aumento della sua area e una riduzione del 3-5% dell’ozono totale della colonna delle medie latitudini meridionali. Questi risultati aumentano la preoccupazione che incendi più frequenti e intensi possano ritardare il recupero dell’ozono in un mondo che si riscalda”, chiosano gli scienziati.

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