Economia

Riforma del fisco sempre più vicina?

Arriva sul tavolo del Consiglio dei ministri il disegno di legge delega sulla riforma del fisco, che prevede riduzioni in materia Irpef, semplificazione delle tasse per le imprese e razionalizzazione di sconti ed esenzioni fiscali
Credit: Leeloo Thefirst
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10 marzo 2023 Aggiornato alle 10:00

È sempre più vicina la riforma fiscale proposta dal Governo Meloni.

È previsto per la metà di marzo l’arrivo in Consiglio dei ministri del disegno di legge delega messo a punto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e dal suo vice Maurizio Leo.

La proposta di legge tocca tre punti principali: ridurre le aliquote e gli scaglioni Irpef, introdurre agevolazioni e semplificazioni delle tasse per le imprese e contrastare l’evasione fiscale.

La parte più consistente della riforma del fisco riguarda l’Irpef.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche forma una delle due maggiori fonti di entrata fiscale dello Stato, insieme all’Iva, ricoprendo quasi il 38% di tutte le tasse versate dai cittadini.

Il Governo propone di ridurre gli scaglioni di reddito da quattro a tre, riducendo di conseguenza le relative aliquote. Qui emergono due possibili scenari.

Il primo intende unire le due aliquote centrali al 27/28%; in questo modo l’aliquota del 23% si applicherebbe per i redditi fino a 15.000 euro, mentre quella centrale si applicherebbe per redditi fino ai 50.000 euro.

Il secondo scenario consiste, invece, nell’estendere la prima aliquota del 23% ai redditi fino a 28.000 euro e proseguire con un’aliquota del 33% per i redditi fino a 50.000 euro. In entrambi i casi si applicherebbe la percentuale più elevata del 43% per redditi superiori a 50.000 euro.

Secondo la Fondazione dei commercialisti, vi sono alcuni possibili rischi.

Nel primo caso, i soggetti penalizzati saranno coloro che hanno un reddito annuo fino a 33.000 euro che pagherebbero di più rispetto a oggi. Chi guadagna più di 33.000 euro avrebbe un beneficio (pari, per esempio, a 1.150 euro per un reddito di 50.000 euro).

Nel secondo scenario, invece, i benefici sarebbero più distribuiti ma, come dichiarato dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano De Nuccio, «l’ipotesi di accorpare i due scaglioni centrali, fissandone l’aliquota al 28%, dovrà certamente prevedere una modifica della detrazione da lavoro in modo da evitare ogni tipo di penalizzazione».

La riforma prevede inoltre la semplificazione delle attuali 626 “tax expenditures”, cioè quelle deduzioni e detrazioni fiscali che costano, a oggi, allo Stato circa 156 miliardi di euro. È così che, tagliando parte di queste ritenute meno utili, si intende reperire parte delle risorse necessarie, come copertura, alla riforma del fisco.

Non tutte, però, verranno eliminate: in vigore resteranno quelle di cui beneficiano pochi soggetti.

Inoltre, alcune non verranno ridotte, come quelle legate alla sanità e alla scuola; in forse restano quelle legate alla casa, tra le quali è presente lo sconto sui mutui.

Se questa semplificazione avrà luogo, ci saranno vantaggi anche per le imprese, riguardo l’Irap e l’Ires.

In particolare, l‘Irap (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) verrebbe completamente cancellata, mentre per quanto riguarda l’Ires (Imposta sui Redditi delle Società), l’aliquota base resterà al 24%, ma potrà ridursi potenzialmente fino al 15% nel caso in cui l’impresa, anziché distribuire gli utili agli azionisti, li impieghi, nei due anni successivi, in investimenti innovativi, per spese in software proprietario (“Industria 4.0”), in brevetti e disegni (“Patent Box”), o nel caso in cui utilizzi questi utili al fine di assumere ex percettori del Reddito di Cittadinanza, donne o lavoratori ultracinquantenni.

Inoltre, la nuova Ires potrebbe entrare in vigore assieme all’adozione in Italia, inizio 2024, della Global minimum tax sulle multinazionali da oltre 750 milioni di dollari di fatturato. A seguito di un accordo tra i paesi più avanzati dell’Ocse, tale misura prevede che il Paese della casa madre o il Paese ospitante di un ramo di una multinazionale possa aggiungere carico fiscale se l’onere resta al di sotto del 15%.

Sempre con riferimento alle imprese, il vice ministro Leo mira a un miglioramento del rapporto tra aziende e fisco.

Nello specifico, nel caso delle società più piccole, si fa riferimento all’uso incrociato delle banche dati disponibili su fatturazione e Iva.

In questo modo, l’Agenzia delle Entrate potrà proporre dei cosiddetti “concordati preventivi biennali”, ovvero proposte preventive di gettito per il biennio successivo; nel caso in cui l’impresa rifiuti la proposta, sarà automaticamente esposta ad accertamenti più intrusivi in qualsiasi momento.

Mentre per le imprese più grandi si mira a estendere la cosiddetta “cooperative compliance”, già prevista dall’Ocse, con la quale si prevede che, in ogni grande azienda, un professionista incaricato avrà l’obbligo di segnalare anticipatamente allo Stato i possibili rischi di inadempienza, quali redditi all’estero, Iva ridotta o altro.

Accanto a quest’ultima misura è prevista anche una trimestralizzazione dei versamenti, allineandoli ai versamenti Iva.

L’ultimo capitolo toccato dalla riforma riguarda la lotta all’evasione. La riforma mira a revisionare i sistemi di accertamento fiscale, proprio al fine di ridurre il tax gap che, stando a quanto riferito da Bankitalia si attesta, a oggi, tra gli 85 e i 100 miliardi di euro annui.

Per quanto riguarda l’entrata in vigore della riforma, questa dovrà seguire l’iter di una legge delega: dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, il disegno di legge passerà al Parlamento che dovrà approvare in 12 mesi una legge delega di riforma del fisco.

Solo in quel momento il testo tornerà nuovamente nelle mani del Governo, che sarà incaricato di emanare decreti legislativi per l’attuazione della riforma. Si stima le misure possano entrare in vigore non prima del 2024.

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