Culture

10 documentari da oscar

La vita della fotografa Nan Goldin, dei vulcanologi Krafft, del dissidente russo Navalny. Ma anche piccole storie di resistenza ambientalista, come quella dell’elefante Raghu. Ecco i doc candidati a vincere un Academy Award la notte del 12 marzo
Credit: Via mymovies.it
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11 marzo 2023 Aggiornato alle 17:00

Come per i film hollywoodiani in gara, ci sono i favoriti e i possibili outsider che potrebbero sorprendere. Di certo, per questi 10 documentari è già una vittoria aver ricevuto una nomination agli Oscar 2023.

I temi che portano in concorso denunciano problematiche di vera attualità, dal climate change nell’Artico ai veleni nell’aria nelle grandi metropoli indiane.

Riscoprono storie d’amore tra scienziati, raccontano il coraggio di donne che hanno denunciato la brama di profitti e di potere dei big della Terra. Ci conducono nel limbo dove finiscono i bambini ucraini in attesa di ricongiungersi con i loro genitori. Ecco una piccola guida per scoprirli.

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L’obiettivo è fisso sul cratere di un vulcano in eruzione. Sullo sfondo di fuoco appare una figura che sembra uscita da un film di fantascienza: è vestita con una tuta di metallo, cammina cauta, il calore quasi fonde le immagini. Sotto al casco c’è la minuta Katia Krafft, dietro alla telecamera il marito Maurice. Sono loro i protagonisti di Fire of Love di Sara Dosa, il documentario sulla vita di una coppia di vulcanologi unica.

Grazie ai loro reportage sulla cresta del crateri più attivi al mondo - in totale ne mapparono 157 - la vulcanologia ha fatto passi da gigante, in unepoca in cui la teoria della tettonica a placche era solo abbozzata. Ma la storia dei coniugi Krafft è anche passione, avventura e tragedia: muoiono insieme alle pendici del monte Unzen in Giappone, nel 1991, durante un’improvvisa eruzione piroclastica.

Un’altra coppia, ma di fratelli, è al centro del manifesto ecologista All That Breathes di Shaunak Sen, già premiato a Cannes e Berlino. È la storia di due ornitologi improvvisati, Nadeem e Saud, che insieme al loro aiutante Salik costruiscono un rifugio veterinario nello scantinato di casa per curare i rapaci che cadono a terra soffocati dalla coltre di smog di Nuova Delhi.

Alla pioggia di nibbi scuri, uccelli considerati sacri perché si nutrirebbero dei peccati di chi li sfama e che invece finiscono a mangiare rifiuti, si uniscono i disordini religiosi di una città in cui umanità, violenza, ratti, degrado e inquinamento compongono un mix apocalittico.

Grazie alla ribalta di questo documentario, il rifugio dei rapaci ha ricevuto alcuni finanziamenti privati ed è diventato un ospedale.

Già premiatissimo (con il Leone d’oro al Festival di Venezia 2022) anche All That Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras. Il film ricostruisce la vita della fotografa e attivista americana Nan Goldin e la sua lotta contro la potente famiglia di industriali del farmaco Sackler, accusati di aver provocato un’epidemia di oppioidi negli anni ’90 in America. Per la regista è la seconda volta agli Academy Awards; nel 2014 ha vinto una statuetta con il doc Citizenfour sul caso Edward Snowden.

La guerra in Ucraina e la lotta all’oppressione russa sono i temi di due documentari quasi paralleli. A House Made of Splinter di Simon Lereng Wilmont riprende la quotidianità di un gruppo di bambini accolti in una struttura per minori sotto custodia temporanea del tribunale. Avranno 9 mesi per sapere se potranno ricongiungersi ai genitori o essere affidati ad altri parenti o altre famiglie. La telecamera li segue con delicatezza e li racconta, mentre fuori il conflitto che da anni infiamma l’Ucraina orientale non trova pace.

Navalny, prodotto dalla Cnn e già vincitore di un Bafta, riaccende invece un faro sulla reclusione del dissidente russo Alexej Navalny, arrestato dal Cremlino nel 2021 dopo essere stato avvelenato dal gas nervino. «Non vede la sua famiglia da un anno e mezzo ed è in un posto molto pericoloso. - ha dichiarato il regista Daniel Roher - Il film punta a mantenere viva l’attenzione su un uomo che per milioni di russi è una luce di speranza per il futuro della democrazia».

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Se avete poco più di mezz’ora, prendete un respiro con una storia ambientalista a portata di famiglia: si intitola The Elephant Whisperers di Kartiki Gonsalves (in italiano è Raghu, il piccolo elefantino, su Netflix).

In una riserva dell’India del sud, una coppia si prende cura di due pachiderma trovati soli nella foresta come se fossero dei figli. Il film è una denuncia della siccità che sta cambiando per sempre gli habitat degli elefanti, costretti ad allontanarsi dalle loro zone per cercare acqua e cibo e a lasciare indietro i cuccioli più deboli.

Il clima rischia di modificare per sempre anche il mondo polare: lo mostrano Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev nel loro corto Haulout. I registi hanno seguito per tre mesi il biologo marino russo Maxim Chakilev su una remota costa dellOceano Artico, in Siberia, dove ogni anno dovrebbero radunarsi un centinaio di trichechi. A causa dell’ormai assenza di ghiacci galleggianti su cui riposarsi durante la migrazione, nel 2020 ne sono arrivati invece centomila.

Due storie americane portano agli Oscar tematiche di corruzione politica e integrazione: The Martha Mitchell Effect di Anne Alvergue ricostruisce la vicenda della moglie del procuratore John Mitchell, politico vicinissimo a Richard Nixon, la prima che fece rivelazioni sullo scandalo Watergate e che venne in tutti i modi screditata dalla stampa e dallo staff della Casa Bianca.

Strangers at the Gate di Joshua Seftel è un documentario di 30 minuti del New Yorker con la produzione esecutiva dell’attivista pakistana premio Nobel Malala Yousafzai: racconta la conversione alla fede del marine Richard Mac McKinney, che pianificò una strage in una moschea nell’Indiana, salvo trasformare il suo progetto d’odio in amore dopo aver conosciuto alcuni membri della comunità musulmana che voleva assassinare.

Chiude la cinquina dei piccoli documentari da scoprire, anche se non verranno premiati con un Oscar, il corto che parla di relazioni padre-figlie How Do You Measure a Year?. Il regista Jay Rosenblatt ha filmato la figlia Ella dai 2 ai 18 anni, sempre sullo stesso divano di casa, facendola rispondere sempre alle stesse domande. Tutto in 29, cortissimi minuti.

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