Diritti

Piccoli gesti innaturali contro la sciatteria da coronavirus: metto la cravatta!

La Pandemia ha sdoganato tutoni, felpe con cappuccio e abbigliamento da call su zoom. Ho deciso di fare il contrario, ho deciso di indossare un capo - anche per me - inusuale. Ne ho bisogno per dimenticare
Simone Spetia la mattina prima della rassegna stampa su Radio 24
Simone Spetia la mattina prima della rassegna stampa su Radio 24
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10 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Non ne ho alcun bisogno: lavoro in un posto nel quale non c’è dress code, c’è gente che viene in maglietta, una volta (di domenica, molti anni fa) persino uno in tuta.

Da tre settimane, nonostante arrivi in redazione alle 5 del mattino, mi vesto regolarmente in giacca e cravatta.

È stata una decisione apparentemente d’impulso, una sorta di tentativo di contrastare la sciatteria alla quale mi stavo abbandonando e che ho cercato di razionalizzare e sono arrivato alla conclusione che è strettamente collegata alla pandemia.

Deve essere stata una cosa inconscia, l’avvicinarsi dell’anniversario della scoperta del paziente 1 a Codogno, del primo lockdown, della paura che ci teneva nei nostri appartamenti e che ci costringeva a un abbandono quasi totale.

Chiusi nelle case, ci siamo abbrutiti e abbiamo tentato di trasformare questo abbrutimento in moda.

Fioccavano i pezzi sulle star in felpa col cappuccio, sul tutone diventato oggetto di moda (quella firmata Ferragni viaggia sui 400 euro) e non dubito che il successo mondiale delle ciabattazze col pelo (“I sandali più hot di stagione”, Vanity Fair, febbraio 2022) e di quelle da piscina (“Così cool da mettere anche in città”, GQ, luglio 2020) sia figlio esattamente di quel periodo nel quale abbiamo sofferto, ma ci siamo anche rilassati.

Nel nostro bunker non ci vedeva nessuno, potevamo mettere una camicia o qualcosa di decente giusto per le call, che comunque avremmo potuto fare col video oscurato e tra i “mi senti?” “sei collegato?” “occhio che hai messo in muto” nessuno faceva caso a come era vestito l’altro, tanto eravamo tutti nella stessa barca, tra letto, divano e serie tv, le vite sconvolte, le mascherine, le dirette video di Conte, le opinioni di virologi, infettivologi ed epidemiologi, le file al supermercato giusto per mettere piede fuori, la paura per la salute e per il lavoro. Ora che ne siamo fuori e quelle memorie sono vive – specie per chi ha perso qualcuno – e insieme iniziano a essere distanti, devo aver sentito la necessità di lasciarmele completamente alle spalle.

Anche una cravatta può essere utile.

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