Diritti

L’Italia non è (ancora) un Paese per ragazze

Le giovani donne percepiscono il divario di genere lavorativo ancor prima di cercare occupazione. E quando la trovano, la scalata per ricoprire posizioni di leadership è difficile e faticosa
Credit: Rogério Martins
Tempo di lettura 4 min lettura
8 marzo 2023 Aggiornato alle 18:00

La realtà del mondo del lavoro impedisce alle giovani donne di sognare. Non vedono prospettive che possano appagarle e non scorgono modelli femminili a cui ispirarsi al di fuori della famiglia. Per una ragazza su due l’ambiente lavorativo è percepito come il luogo più esposto a discriminazioni di genere. Lo vedono in un presente in cui sono già obbligate a dimostrare continuamente il proprio valore e sono sicure che in futuro le cose non saranno più semplici.

È uno spaccato desolante quello che emerge dal rapporto “Lavoro: non è un paese per ragazze”, realizzato dall’Osservatorio indifesa con Terre des Hommes e OneDay Group. Gli stereotipi e i retaggi di una cultura maschilista impediscono alle ragazze tra i 14 e i 26 anni coinvolte nella ricerca di ambire a posizioni lavorative di prestigio. La pensa così quasi il 54% di loro, seguite da chi denuncia l’assenza di una rete di sostegno per l’occupazione femminile e da chi, invece, registra la mancanza di modelli a cui ispirarsi.

Donne e leadership

La metà delle ragazze non ha un modello di riferimento a cui ispirare la costruzione del proprio futuro. Per il 30% di loro l’unica figura di riferimento è la mamma, mentre per il restante 20% non è nessuno. Così, gli stereotipi di genere e la mancanza di modelli a cui ambire contribuiscono a piazzare l’Italia al primo posto in Europa per giovani Neet: il 25% delle ragazze tra i 15 e i 29 anni, infatti, non studia e non lavora.

E tutto questo non è solo una percezione delle giovani italiane. Per la maggior parte delle aziende, infatti, il progresso delle donne in posizioni di leadership non è considerata una priorità di business sebbene si registri un aumento del numero di donne in posizioni di leadership aziendale e nei consigli di amministrazione (sono il 12%). Lo rivela lo studio “Women in leadership: Why perception outpaces the pipeline and what to do about it” condotto da Ibm (Institute for Business Value) e Chief ascoltando il punto di vista 2.500 aziende di dieci settori diversi dell’industria e provenienti da 12 Paesi.

Formazione e sbocchi professionali

Il divario di genere è realtà, specie in Italia. E non si manifesta di certo quando ci si affaccia al mercato del lavoro. Già durante gli studi, infatti, la presenza di donne nelle discipline Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics) si attesta al 21%: esattamente la metà dei colleghi uomini, stando al numero di iscritti nell’anno accademico 2020/2021. In Italia, inoltre, il gap nell’ambito dell’educazione finanziaria è elevatissimo. Se in Europa i livelli di alfabetizzazione finanziaria dei maschi 15enni, in media, sono superiori del 2% rispetto a quelli delle coetanee, in Italia il divario si alza a 15 punti percentuali.

Questo significa che le donne hanno meno occasioni professionali degli uomini nel mercato del lavoro. Ma ciò non basta a spiegare la fatica a cui sono chiamate per abbattere gli stereotipi di genere che ancora condizionano le loro aspirazioni. Il loro è un percorso che la pandemia ha rallentato, impattando in modo sproporzionato sul lavoro femminile. Sono state le donne a sacrificarsi nel 2020: sono state loro le prime a restare a casa perché, in qualche modo, la società continua a perpetrare modelli famigliari che assegnano i compiti di cura alle sole madri. Secondo lo studio “Women in leadership”, infatti, le vice presidenti senior sono il 14% contro il 18% del 2019 e le vice presidenti sono il 16% contro il 19% del 2019.

Un percorso in salita

Secondo le aziende coinvolte nell’indagine, entro il 2029 si raggiungerà la parità di genere nelle posizioni di leadership aziendale. Ma si tratta solo di un ottimismo che non trova riscontro nei dati raccolti che, invece, testimoniano un percorso molto più in salita di così: serviranno decenni prima che possa parlarsi davvero di parità di genere. «È indispensabile che le aziende facciano di più per facilitare l’accesso delle donne a queste posizioni», ha dichiarato Lindsay Kaplan, Co-Founder e Chief Brand Officer di Chief.

È un imperativo che nel 2023 non può restare lettera morta: «È urgente un cambiamento culturale che non può che partire dalla scuola», commenta Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes: «Occorre lavorare affinché genitori e insegnanti incoraggino le ragazze a seguire percorsi di studio che permettono carriere vicine ai loro reali desideri, al netto dei condizionamenti esterni, che arrivano persino dai libri di testo che ancora troppo spesso raffigurano gli uomini come scienziati e ingegneri e le donne come maestre e infermiere».

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