Economia

Donne, studentesse modello. Poche lavoratrici: perché?

Le ragazze studiano di più e si laureano prima, soprattutto in percorsi umanistici e sociali, ma le libere professioniste sono la metà degli uomini. Una volta fuori dalle università, infatti, la strada per loro è tutta in salita
Credit: Etty Fidele
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8 marzo 2023 Aggiornato alle 12:30

Le donne sono brave a scuola, lo dicono i dati. Secondo lo studio Almalaurea, il 58,7% dei 291.000 laureati nel 2020 era donna. E se questo non bastasse, il Consorzio spiega anche che le ragazze si laureano in media dai 3 ai 6 mesi prima rispetto ai ragazzi e con voti più alti (103,9 rispetto a 102,1); inoltre, svolgono più frequentemente attività di tirocinio curriculare (61,4% rispetto al 52,1% maschile) e sono più inclini a esperienze di studio all’estero (11,6% contro il 10,9%), oltre che a lavorare durante gli studi (66% contro il 64%). Eppure, fuori dalle mura universitarie, incontrano più difficoltà.

Laurearsi fornisce ai giovani maggiori chance di trovare un lavoro, e questo vale tanto per gli uomini quanto per le donne. Al tempo stesso, però, si notano delle differenze. Gli studenti occupati a 5 anni dalla laurea di primo livello sono il 92,4%, le studentesse l’86%: 6 punti percentuali separano poi i laureati e le laureate di secondo livello, che sono rispettivamente il 91,2% e l’85,2%.

Anche dal punto di vista contrattuale si notano alcune differenze: gli uomini, infatti, hanno maggiore stabilità. Il 67,4% ha un contratto a tempo indeterminato entro 5 anni dal conseguimento della laurea, l’11,6% sceglie il lavoro autonomo, mentre il 12,2% ha un contratto non standard (ovvero un contratto a tempo determinato, part-time o di collaborazione); inoltre, guadagnano in media 1.654 euro dopo la laurea triennale e 1.713 euro con un titolo magistrale.

E le studentesse, come si affacciano sul mercato del lavoro? Superano i colleghi uomini sì, ma solo nei contratti atipici dove raggiungono il 17%, mentre le occupate a tempo indeterminato sono il 64% e le autonome poco più del 7%. In media guadagnano il 20% in meno: circa 1.374 euro con la laurea di primo di livello e 1.438 euro con il titolo di secondo livello. A 1 anno dal conseguimento persiste il divario, pur riducendosi appena al di sotto del 13%. Almalaurea calcola che, a 1 anno dalla laurea, gli uomini percepiscono in busta paga circa 89 euro netti al mese in più delle donne.

In parte (ma solo in parte) questa situazione è dovuta al percorso di studio e lavoro scelto. Le donne iscritte nelle discipline Stem rappresentano meno della metà degli iscritti: per esempio, nell’ambito delle tecnologie e dell’Information and Communication Technology superano appena il 14%, mentre le iscritte a ingegneria industriale e dell’informazione sono il 26%; cresce invece la percentuale nel settore economico, dove le laureate sono il 48%, nell’architettura e nell’ingegneria civile, circa il 45%.

Tra le facoltà con il maggior numero di studentesse spiccano i percorsi di educazione e informazione con quasi il 93% di laureate; segue il settore linguistico e psicologico dove, in entrambi i casi, si supera l’80%. Anche i dati occupazionali confermano il trend: secondo Eige (Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere) nel 2022 la percentuale di donne occupate in settori di cura - tra cui educazione, salute e attività di assistenza sociale - è pari al 27%, quella maschile è appena il 7%.

Questo è vero anche tra i lavoratori autonomi dove, secondo i dati del VII Rapporto sulle libere professioni in Italia, nell’ambito dell’assistenza sociale 4 persone su 5 sono donne, mentre nell’area sanitaria rappresentano oltre la metà dei professionisti. Minore è invece la percentuale di avvocate (circa 115.000, rispetto ai 126.000 professionisti uomini), di commercialiste (24.000 contro 48.000) e di ingegnere (13.000, contro 69.000). In particolare, il divario retributivo annuo tra avvocati e avvocate supera i 27.000 euro, tra commercialisti e commercialiste raggiunge quasi i 40.000 euro mentre nell’ingegneria è di circa 18.000 euro.

Le libere professioniste sul mercato sono la metà degli uomini, con una percentuale del 35,1% per le prime e del 64,9% per i secondi. Nonostante ciò, le lavoratrici autonome sono aumentate negli anni, con un incremento di circa 145.000 unità dal 2010. Ancora una volta queste sono cresciute soprattutto in alcuni settori: sanità e sociale.

Allo stesso tempo, è interessante evidenziare che la quota più alta di libere professioniste si trova tra le più giovani, ovvero nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni: 42,8% nel 2021 ma in discesa rispetto al 2018; più stabile, invece, è la percentuale nella fascia tra i 35 e i 54 anni e tra le over 55. Cosa ci dice questo dato? Che la pandemia si è fatta sentire pesantemente sulle giovani donne, che hanno rinunciato all’idea di aprire una partita iva.

Almalaurea evidenzia una differenza nelle scelte professionali dei ragazzi e delle ragazze dopo l’università. Infatti, se i primi sono guidati dal guadagno e dalle possibilità di carriera, le seconde identificano come prioritaria la stabilità, il raggiungimento dell’indipendenza e l’utilità del proprio lavoro.

Negli ultimi anni la percentuale di donne nelle facoltà scientifiche e nelle professioni maschili è aumentata: le donne stanno pian piano prendendo spazio, nonostante le attività di cura rimangano il settore preferenziale, come dimostrano i dati. Questi numeri, però, mostrano anche che le donne sono perfettamente capaci di abitare questo mondo fatto di cifre e denaro: a conferma di ciò, nelle facoltà di giurisprudenza, economia e ingegneria sono sempre le ragazze a ottenere risultati migliori, seppure con differenze leggere. Tutti questi dati, però, sfatano il mito secondo cui donne e numeri non vanno d’accordo.

È arrivato il momento di iniziare a considerare le professioni in relazione al talento e alle capacità di ogni individuo al di là del sesso.

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