Culture

Io so. Ma non ho le prove

Al cinema fino all’8 marzo, il documentario “Pier Paolo Pasolini. Una visione nuova” ha favorito la riapertura del caso sull’uccisione del poeta. Grazie ai tre dna individuati nel 2010 sulla scena del crimine
Giancarlo Scarchilli, regista del fim "Pier Paolo Pasolini - Una visione nuova".
Giancarlo Scarchilli, regista del fim "Pier Paolo Pasolini - Una visione nuova". Credit: Via Cinematografo.it
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7 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

«La vita ci fa sempre incontrare le persone necessarie a svelare il destino che ci attende. Niente è casuale», sostiene il regista e poeta Giancarlo Scarchilli, autore del documentario Pier Paolo Pasolini. Una visione nuova, prodotto da Morena Gentile, presentato al 40° Torino Film Festival e distribuito nelle sale dal 5 al 8 marzo 2023 da Medusa.

Grande intellettuale e precursore dei tempi, Pier Paolo Pasolini è stato contestato, amato, criticato, apprezzato, processato, odiato. Ma anche rispettato per la sua profonda comprensione della società e per la sua attenzione ai talenti.

Ed è da questa sua particolare sensibilità nell’individuare le doti nelle persone che incontrava, valorizzandole prima ancora che loro ne avessero consapevolezza, che nasce il documentario.

Scarchilli lo concepisce più come poeta che come regista, dando forma visiva ai versi della sua poesia Ascolto: “a volte si percepisce/il divino/che, se si ascolta/ammanta ogni cosa”. Nell’alternarsi di materiali d’archivio, interviste inedite e clip di film, Scarchilli ripercorre il germoglio dei semi che Pier Paolo Pasolini ha lasciato nel mettersi all’ascolto delle persone.

In tanti devono all’incontro con il letterato prestato alla regia e viceversa, un inizio di carriera o un cambio di rotta della loro vita.

Da Sergio e Franco Citti a Laura Betti e Ninetto Davoli, dallo scenografo Dante Ferretti al costumista Danilo Donati, dal musicista Ennio Morricone al montatore Nino Baragli.

Da Bernardo Bertolucci che esordì come aiuto regia nel film Accattone, a Vincenzo Cerami che, da ex allievo di Pasolini alle scuole medie, venne introdotto al cinema collaborando al film Uccellacci e uccellini. E poi tanti artisti noti che vennero riproposti in una chiave nuova, come Anna Magnani, Maria Callas, Totò, Orson Welles, portati in scena in quanto simboli di loro stessi.

Lo stesso Scarchilli alla fine del documentario ringrazia Pier Paolo Pasolini per averlo portato sulla strada del cinema, dove venne preso per mano, accompagnato e introdotto alla sua “bottega di talenti” da Sergio Citti, uno dei principali germogli dei suoi semi.

I due si conobbero alla fine degli anni ’70 e poco dopo Scarchilli ebbe l’opportunità di collaborare con Citti ai film Due pezzi di pane, Il minestrone e Sogni e bisogni come sceneggiatore e aiuto alla regia. Di incontro in incontro arrivò a lavorare con Vittorio Gassman per Di padre in figlio e poi a esordire alla regia di film e documentari, tra cui Vittorio racconta Gassman, una vita da mattatore, vincitore del Premio Nastro d’Argento 2011.

La conoscenza tra Giancarlo Scarchilli e Sergio Citti si deve all’articolo “Tre giorni di profanazione al Teatro Tenda. Pasolini, un’assenza comoda” che il primo pubblicò nel 1978 sulla rivista Gong (mensile di musica progressiva e cultura nata nel 1974), dove commentava delle giornate di studio dedicate alla figura di Pasolini, ucciso brutalmente la notte tra il primo e il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia.

Nell’articolo Scarchilli criticava gli interventi degli intellettuali presenti e scriveva “Ognuno ha filtrato Pasolini con il suo setaccio, lasciando passare solo quello che di lui serviva mostrare… In mezzo a tanta commemorazione postuma, che sempre è stata aberrata da Pier Paolo, poche le voci naturali. Coloro che realmente sono stati vicini a Pasolini, come Sergio Citti, sono stati molto molto schivi nel parlare”.

Malgrado siano passati più di 40 anni, Scarchilli è ancora convinto che l’unicità di Pasolini sia il suo non essere “incasellabile. Ha cambiato la letteratura con Ragazzi di Vita, ha cambiato il giornalismo con Scritti corsari e ha cambiato il cinema con Accattone”.

Sono d’accordo con lui anche David Grieco, Pupi Avati, Walter Veltroni, Giancarlo De Cataldo, Filippo Ceccarelli, Caterina D’Amico, Felice Laudadio, Giuseppe Manfredi, Carlo Verdone che, intervistati nel documentario, confermano come la produzione artistica di Pasolini abbia apportato una visione nuova che ancora oggi lo rende uno degli ultimi intellettuali italiani.

L’uscita cinematografica del documentario ha favorito la riapertura del caso della sua uccisione per approfondire le indagini sui tre dna individuati nel 2010 sulla scena del crimine.

L’istanza è stata depositata in Procura di Roma il 3 marzo 2023 dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti. L’avvocato, che fece riaprire le indagini già nel 2009, chiede anche che vengano accertate le dichiarazioni rese da Maurizio Abbatino nel 2022 alla Commissione parlamentare Antimafia.

Secondo il collaboratore di giustizia, che fece parte della Banda della Magliana, Pasolini andò all’Idroscalo di Ostia per recuperare le pizze del suo film Salò o le 120 giornate di Sodoma rubate mesi prima e una volta lì venne ucciso.

Una morte violenta di un intellettuale dal pensiero non omologato, e non omologabile, con cui il nostro Paese non ha mai smesso di fare i conti.

Nemmeno il centenario della sua nascita (5 marzo 1922), commemorata lo scorso anno con innumerevoli mostre, convegni, libri e documentari, ha portato alla verità sulla sua uccisione.

Profeticamente Pasolini aveva previsto tutto: a guardarci indietro sembra proprio che siamo rimasti a Io so. Ma non ho le prove”.

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