Futuro

Facebook, arriva la condanna dal Tribunale di Milano

Il social network è stato ritenuto colpevole di non aver rimosso in tempo contenuti diffamatori ai danni di Snaitech nonostante la richiesta di cancellazione da parte della società
Credit: EPA/STEPHANIE LECOCQ
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
6 marzo 2023 Aggiornato alle 11:00

Facebook (Meta) deve rimuovere i post quando è consapevole del loro contenuto diffamatorio.

È la conclusione a cui è giunto il Tribunale di Milano con la sentenza depositata il 2 marzo che ha condannato in sede civile il social network al risarcimento danni nei confronti della società di scommesse Snaitech (ex Snai) ritenendolo responsabile di “una condotta commissiva mediante omissione e, quindi, di aver concorso nel comportamento lesivo altrui”.

Il caso, come riportato dal Fatto Quotidiano e dal Sole 24 Ore, riguarda una serie di contenuti diffamatori pubblicati sulle pagine Truffa Snaitech e Snaitech truffa create nel 2019. Secondo i giudici, “l’autore del contenuto pubblicato sulla piattaforma Facebook ha attribuito agli attori la commissione di delitti sulla base di mere convinzioni personali”.

Non è considerato valido, in questo caso, appellarsi al diritto di critica, altrimenti, si legge nel testo della sentenza, “si attribuirebbe a ciascuno il diritto di attribuire prima, e diffondere poi, anche tramite social network, notizie in merito alla perpetrazione di reati sulla base di mere intime convinzioni”.

A determinare la condanna di Facebook il fatto che Snaitech abbia segnalato a più riprese i contenuti diffamatori chiedendone la rimozione. “Non è chiaro come il contenuto segnalato sia diffamatorio, violi i suoi diritti o sia altrimenti illecito”, avrebbe replicato il social network, che più tardi ha infine provveduto alla rimozione.

Smontata – sulla base del decreto legislativo n. 70 del 2003, articolo 16 – anche la tesi avanzata dalla difesa di Facebook, secondo la quale per giustificare la rimozione dei contenuti sarebbe stato necessario che l’autorità giudiziaria ne avesse prima dimostrato l’illiceità.

Pur riconoscendo che “la capacità diffusiva di una informazione condivisa tramite la piattaforma di un social network travalica spesso i limiti della stessa - il giudice ha chiesto un risarcimento ridotto, 10.000 euro a fronte dei 200.000 richiesti dai legali della società dal momento che le pagine - hanno ottenuto pochissimo riscontro mediatico”

Leggi anche
Web
di Michele Boroni 5 min lettura
Social Network
di Matteo Ocone 2 min lettura