Futuro

Non voglio la simulazione di Padre Pio, voglio che ChatGPT simuli me

Come sarebbe bello se l’intelligenza artificiale ci liberasse dalle incombenze, digitali e non, quotidiane e avesse sempre la risposta giusta da dare in ogni chat di gruppo
Credit: Drew Beamer
Tempo di lettura 4 min lettura
5 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Quotidianamente, in almeno una delle chat di cui faccio parte, c’è qualcuno che compie gli anni.

Invariabilmente all’interno di questa chat c’è una persona che ricorda i compleanni di tutti.

Inevitabilmente scrive un messaggio di auguri appena si sveglia, del quale mi accorgo quando si sono già unite almeno quattro persone.

A quel punto non so mai che fare, perché vorrei scrivere qualcosa di più gentile e meno anonimo di “auguri!” (lo so che conta il pensiero, ma il pensiero ce l’ha avuto qualcun altro) e mi inabisso per tutto il giorno lasciando la cosa sullo sfondo, mi addormento e la mattina dopo provo a uscire dal vuoto di pensiero con un mesto e ammaccato “auguri in ritardo!” che reputo essere più elegante, perché mi permette di far finta di essere un uomo molto impegnato che ha avuto bisogno di ventiquattr’ore per potersi accorgere di cosa avveniva in chat.

Debbo confessare ai signori di prega.org - anche se il verbo “confessare” può a questo punto risultare ambiguo - che trovo l’iniziativa di un chatbot che simuli una conversazione con Padre Pio inquietante e attraente insieme.

Inquietante per l’idea di chiacchierare con un tizio morto nel 1968, attraente perché ho sognato di simulare me stesso e di farmi sostituire in tutte le imbarazzanti interazioni digitali quotidiane, nelle quali mi sento uno stalker se faccio troppo e algido se faccio troppo poco: sono certo che addestrando ChatGPT a essere me con qualche variazione troverei la giusta via di mezzo.

Ciclicamente l’uomo teme di essere sostituito dalla macchina nelle sue mansioni principali, ha paura che il lavoro gli venga sottratto da un robot o da qualcosa che automatizza la funzione che svolgeva prima.

Dalla prima rivoluzione industriale possiamo contare decine di allarmi di questo tipo emersi da studi, da dichiarazioni di politici, dalla grancassa che ne ha fatto la stampa.

A me l’idea entusiasma, specie se l’algoritmo sarà in grado di liberarmi dalla mia personalissima burocrazia: voglio farmi sostituire nelle decine di conversazioni che consumano le mie giornate, gli aspirapolvere del tempo e del pensiero che mi seguono dal bagno al campo da tennis.

Col simulatore di me stesso il problema sarebbe risolto e potrei persino essere quello che si ricorda il compleanno. Potrei essere il pacificatore delle chat di classe, quello che ha sempre la risposta sulle scadenze, sulle circolari, sui compiti e avere sempre la parola definitiva sul regalo di fine anno da fare alle maestre, avere un’opinione informata e pedagogicamente esauriente per la sfilza di insufficienze nell’ultima verifica di italiano.

Oppure potrei scatenare dei flame feroci - istruendo adeguatamente la macchina - sull’eccessiva quantità di compiti, sui troppi libri da portare, instillare dubbi infondati su quali siano effettivamente gli esercizi di matematica e solo per vendetta non sui partecipanti alla chat, ma sullo strumento stesso: occuperò il suo tempo tramite il mio assistente digitale, rendendo quel luogo brutto e sgradevole.

Non mi perderei le mail, dimostrando attenzione nei confronti di tutti e avrei risposte cortesi, con tutti gli asterischi e le schwa al posto giusto, le persone correttamente inserite nel campo A: e nel campo CC: e nel corretto ordine di importanza (non ci crederete, ma in alcune aziende lo si ritiene essenziale). Non mi perderei nemmeno un avanzamento di carriera su Linkedin e potrei fare i complimenti a tutti.

Potrei costruire una versione migliore di me stesso, che potrebbe sopravvivermi, rendendomi virtualmente immortale al pari di Padre Pio. Certo, sarebbe esclusivamente digitale. Ma all’interazione dal vivo chi ci bada più?

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