Chi era Shahida Raza?
gTra le bare in fila sul parquet del palazzetto dello sport di Crotone, tutte apparentemente uguali ma diverse perché custodi di vite uniche, delle quali non sapevamo e non sapremo mai nulla, c’è anche quella di Shahida Raza.
Di lei qualcosa si sa. Il suo nome in un mondo in cui lo sport femminile è spesso schiacciato da quello maschile, non era molto noto ma la giovane 27enne era una stella dello sport pakistano ed è triste pensare che i media si occupino tanto di lei oggi, per raccontarne la morte, e poco ieri, per dire chi fosse e quante cose belle e importanti stesse facendo.
Shahida Raza era la capitana della nazionale femminile di hockey su prato del Pakistan e giocava a calcio da otto stagioni nel Balochistan United, squadra della città di Quetta nota non solo per vicende sportive ma anche per la sua vocazione inclusiva portata avanti con la presenza di calciatrici di diverse etnie e religioni.
L’atleta, soprannominata Chintoo, era di etnia hazara sciita e partendo proprio da Quetta era salita su quel barcone diretto in Europa insieme a oltre 150 persone sognando una vita migliore rispetto a quella che spetta alle donne nel suo Paese, dove chi alza la testa non è vista di buon occhio.
A dispetto del successo sportivo, la sua vita lì era un inferno e ogni giorno era costellato dalla paura di non arrivare a sera viva o libera ma di finire vittima di rappresaglie che per persone come lei in Pakistan sono all’ordine del giorno.
Donna, sportiva, attivista, divorziata e madre single di una bambina che pare non fosse in viaggio con lei.
Già questo basterebbe per comprendere le ragioni che l’hanno spinta a intraprendere un viaggio disperato, vissuto in condizioni disumane e senza alcuna garanzia di successo, ma Shahida Raza doveva fare i conti anche con la sua appartenenza alla comunità sciita Hazara, perseguitata da anni da gruppi estremisti sunniti e dall’Isis e oggetto di numerosi attacchi mortali sostenuti e largamente finanziati da agenzie di intelligence pakistane.
In un luogo in cui i diritti civili non esistono e le vite come quella di Shahida non valgono nulla è impossibile restare, così lei è partita, spinta da una disperazione che non lascia altra scelta.
Voleva solo vivere e invece è morta. Per provarci sembra abbia pagato 4000 dollari.
A confermare la sua morte è stata la Pakistan Hockey Federation, che tramite il presidente R. Khalid Sajjad Khokhar, il segretario generale Haider Hussain, il direttore Syeda Shehla Raza e l’allenatore Tanzilah Aamir Chema ha espresso le condoglianze alla famiglia della giocatrice.
Poche righe di un comunicato stampa hanno messo la parola fine alle speranze di ritrovare questa giovane donna in vita. Appresa la notizia i leader della comunità Hazara, profondamente scossi, hanno chiesto al governo di fare in modo che tragedie simili non si ripetano in futuro.
Shahida Raza, infatti, non è la prima persona appartenente a quell’etnia che cerca legittimamente di sfuggire alle atrocità della sua terra.
Ci ha provato a ricominciare ma il suo sogno si è infranto troppo presto, a poche centinaia di metri dalla riva.