Futuro

James Webb sfida le attuali conoscenze delle galassie

Il telescopio a infrarossi lanciato in orbita nel dicembre 2021 ha scoperto sei potenziali ammassi di stelle di circa 13,5 miliardi di anni
Credit: Via instagra,.com/@nasawebb
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
2 marzo 2023 Aggiornato alle 09:00

Sei potenziali galassie vecchie circa 13,5 miliardi anni, vale a dire 500-700 milioni di anni dopo il big bang, quando l’universo aveva il 3% dell’età attuale.

È l’ultima scoperta del telescopio James Webb, e potrebbe stravolge le attuali conoscenze sull’origine delle galassie.

Lo scorso anno, il telescopio a infrarossi lanciato in orbita nel dicembre 2021 ha rilevato un gruppo di quattro galassie ancora più antiche risalenti a circa 350 milioni di anni dopo il big bang, ma si trattava di corpi molto più piccoli rispetto agli ammassi stellari avvistati ora.

«Abbiamo scoperto galassie mature come la nostra in quella che in precedenza era considerata l’alba dell’universo», ha dichiarato il coautore dello studio Joel Leja della Pennsylvania State University.

Credit: NASA, ESA, CSA, I. Labbe (Swinburne University of Technology). Image processing: G. Brammer (Niels Bohr Institute’s Cosmic Dawn Center at the University of Copenhagen).

Al momento non c’è ancora la certezza che si tratti a tutti gli effetti di galassie, ma i ricercatori hanno già ribattezzato gli oggetti “universe breakers” (distruttori di universi), dal momento che la loro massa è tale da mettere in crisi il 99% dei modelli cosmologici esistenti finora.

«È la prima volta che gettiamo lo sguardo tanto lontano, quindi è importante mantenere una mente aperta su ciò che stiamo vedendo», ha messo in guardia Leja, per il quale esiste «una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino essere buchi neri supermassicci oscurati».

«Indipendentemente da ciò – ha aggiunto – la quantità di massa scoperta indica che la massa nota nelle stelle in questo periodo del nostro universo è fino a 100 volte maggiore di quanto pensassimo in precedenza. Anche se dimezziamo il campione, questo è comunque un cambiamento sbalorditivo».

Quando i ricercatori si sono imbattuti in questi punti grandi e luminosi, ha raccontato Leja, il loro primo pensiero è stato che avessero commesso un errore di interpretazione. «Ma dobbiamo ancora trovare quell’errore, nonostante molti tentativi», ha ammesso Leja.

Il prossimo passo sarà quello di esaminare lo spettro della radiazione elettromagnetica delle potenziali galassie per capire la loro vera distanza e composizione. «Uno spettro ci dirà immediatamente se queste cose sono reali o meno», ha concluso Leja.

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