Futuro

La petification è tra noi

Animali selvatici che diventano da compagnia, come se fossero cani. Non solo: esiste anche la versione 2.0, tutta digitale. Hai mai visto un pinguino robotico? Ma non c’è nulla di “naturale” o giusto in tutto questo
Credit: Vlad Tchompalov
Tempo di lettura 7 min lettura
1 marzo 2023 Aggiornato alle 06:30

Entrare da Torinoiru cafè (Giappone) fa male, malissimo. Poso per caso gli occhi sulla vetrina: oltre il vetro, un barbagianni ricambia il mio sguardo. In pieno giorno.

Entro cercando di sorridere, con la macchina fotografica appesa al collo. Immediatamente, dietro la porta, un martin pescatore prova a fare un balzo in avanti: legato a un trespolo con una cordicella di 15 cm, riesce solo ad avanzare di una zampa. È il più teso tra gli uccelli esposti, nessuno dei quali inserito in un ambiente vagamente adatto. Dopotutto, non è esattamente naturale trovare un martin pescatore, un barbagianni e una serie di piccoli falchi vivi esposti su uno scaffale, circondati da gabbiette che contengono altri esemplari.

Credit: Martina Micciché
Credit: Martina Micciché

Il martin pescatore scatta in avanti ogni volta che un cliente si avvicina. L’intento è chiaramente difensivo, ma la cordicella tiene il becco lungo quasi quanto un mio dito lontano dalle persone. A distanza di sicurezza. Più a destra, lungo la mensola espositiva, i 2 falchetti beccano ripetutamente il laccio fissato alla loro zampa. Il barbagianni, invece, fissa l’obiettivo della mia macchina, ruotando il capo a ogni movimento. Cerco di fare piano, riducendo il suono dello shutter al minimo. Ruota il capo, a destra e a sinistra.

Ci fissiamo a lungo, prima che prosegua l’esplorazione di questo negozio. Occhi tondi e neri come onice, imperlati appena dal riflesso dei neon allacciati al soffitto.

Credit: Martina Micciché
Credit: Martina Micciché

Proseguo oltre e lascio tutto ciò che non è necessario nell’armadietto. Devo entrare nella parte destinata al petting zoo, quella in cui martin pescatore, barbagianni e falchi non sono ammessi in quanto uccelli predatori. Se avessero la libertà di volare con gli altri esemplari, probabilmente si mangerebbero metà dei parrocchetti. Per entrare bisogna indossare una mantellina, così da evitare di ritrovarsi i vestiti pieni di feci.

Spingo la porta di legno e mi ritrovo in questa specie di voliera, incrostata di uccelli. Una papera bianca cammina per terra, in attesa che qualche cliente paghi per darle acqua e vermi. Il feeding, l’alimentazione, è parte dell’esperienza. Sulla struttura in metallo ci sono i pappagallini, 2 ara e persino un tucano. Tutti uccelli che hanno bisogno di spazi ben diversi per vivere. Molti di loro nemmeno condividerebbero l’habitat.

Qui, invece, si muovono senza spazio per aprire le ali, facendo al massimo un balzo, camminano sulle spalle dei clienti e si adagiano sul pavimento, in mezzo al guano di altre specie. Cerco di non pensare a quanti batteri si incontrino, a quali spillover potrebbe portare questo miscuglio di specie animali che si susseguono sulle braccia e nelle mani di chi offre il becchime.

Selvatici chiusi in gabbia e venduti come fossero animali già addomesticati: questo è ciò che ho davanti. Una frontiera che era già stata infranta con i grossi felini a partire dagli anni ‘80. Chi non ha mai sentito parlare delle tigri dell’ex pugile Mike Tyson che, a quanto pare, dormiva con una tigre del bengala di nome Kenya e l’ha tenuta in casa finché non è diventata anziana e aggressiva?

Credit: Saverio Nichetti
Credit: Saverio Nichetti

Controllare la bestia, il pericoloso predatore, era - ed è ancora - un gesto di potere, tendenzialmente maschile, sulla natura e le altre persone. Oggi, però, si vive di iperconsumi accessibili: quindi, non più tigri bracconate ma animali selvatici di piccola e media taglia, vittime di quello che definisco petification, ovvero il processo di trasformazione del selvatico in domestico da compagnia. Falchi come fossero cani, insomma.

La petification è veloce, segue il mercato, mica i tempi della natura. I selvatici, imprevedibili però, sono un rischio a tutti gli effetti. Potrebbero infatti mostrare comportamenti poco adatti a un appartamento: potrebbero, per dire, sviluppare un interesse nella caccia al gatto del vicino, produrre odori persistenti (non controllati dopo secoli di accoppiamenti coatti, violenti e ottimizzazioni genetiche). Potrebbero, a tutti gli effetti, portare nelle case l’assenza di controllo tipica della natura. E alle persone questo non piace.

Le soluzioni più semplici? Le stesse che interessano i domestici da compagnia: abbandono o abbattimento. In un mondo che desidera mettere i cani nei passeggini senza che ve ne sia reale necessità (come accade invece nel caso di animali disabili) o che infila i gatti negli zainetti trasparenti, non c’è spazio per l’istinto e le annesse risposte comportamentali. Le persone vogliono comportamenti specchio, che mimino quelli umani.

L’ambito della petification non riguarda solo gli uccelli. Al mercato di Chatuchak, Bangkok, si trova davvero di tutto (qualcuno sa addirittura dove trovare il commercio illegale di animali che ne ha comportato più volte la chiusura). L’odore, è il primo segnale; gli uccelli sono i primi che si incrociano: spennati, compressi in gabbie strette e incrostate, aprono lo sguardo alla zona successiva, piena di scoiattoli e piccoli roditori.

Seguono aracnidi e serpenti, poi cani - di razza - gatti e piccole scimmie. Titi pigmei, Titi Leone, Titi calvi e galagoni vengono venduti per qualche centinaio di dollari, inseriti in zainetti trasparenti e sfoggiati in giro fino al primo segno di aggressività che, in genere, si manifesta al raggiungimento della maturità sessuale. Poi, subentrano violenza e abbandono.

A Milano, dietro la Stazione, un negozio vende animali considerati “esotici”, principalmente rettili. Bestie la cui intera vita viene schiacciata in una teca perché il proprietario possa proiettare su sé stesso tutto ciò che culturalmente si attribuisce a questi animali.

Dunque, troviamo nuovamente la funzione di questa violenza interspecifica unidirezionale: l’affermazione identitaria del potere, individuale e di specie. Ne vediamo la massima espressione quando gli animali iniziano a reagire al controllo umano: la reazione viene trasformata, etichettata, in aggressione e attiva una serie di compressioni e inibizioni che culminano, nel caso in cui lo stress della cattività abbia avuto la meglio, con la morte dell’animale. Prontamente sostituito da chi se ne considerava padrone.

L’imprevedibilità, però, non piace al mercato: servono merci stabili, come le razze di cani da grembo. Poi, devono essere programmabili, sostituibili e rinnovabili. E sebbene i cani di razza - oggettificati sin dal concepimento, organizzato a tavolino per trarne un guadagno - abbiano tendenzialmente vita breve rispetto a quelli frutto di incroci non controllati, non è abbastanza.

Ed ecco lo spazio per la Petification 2.0, la nuova era degli animali da compagnia digitali. Devo infilarmi in un centro commerciale di Osaka per scovare questa nuova frontiera.

In cerca di una libreria con titoli inglesi, mi ritrovo a osservare una signora intenta ad allacciarsi al petto un marsupio per neonati. Quello che si muove al suo interno, però, non è organico, ma robotico. Un Lovot: pinguino robotico munito di telecamera in grado di reagire agli stimoli e di programmarsi (con pacchetti di aggiornamenti mensili a partire da 83 euro) per migliorare l’umore del suo padrone.

La venditrice nota il mio interesse e fa scivolare un esemplare tra le mie braccia, così come si farebbe con un neonato. Il Lovot di nome Cocoa la guarda ancora un istante prima di agganciare gli occhi digitali nei miei. Sbatte le palpebre e mi sembra di notare un cambiamento nel colore delle iridi. Poco prima erano più azzurre, ora somigliano di più alle mie, tendenti al verde. Cocoa gorgheggia finché non la restituisco.

Il suo algoritmo è pensato per rendere felici le persone, per capirne le abitudini e migliorare la loro vita fuori dall’ufficio, con un impatto positivo sulla produttività.

Penso al barbagianni in vetrina, al guano, ai cani con cui sono cresciuta, alla gente che non vuole esemplari di domestici femmina per via delle mestruazioni. E poi al Lovot, alla petificaizone che, dopo aver provato a predare ogni specie presente in natura (basti pensare alle stanze con gli squali degli hotel di Dubai) ha finalmente inquadrato il possibile futuro della relazione essere umano - animale, completamente artificiale. Il tutto senza smettere di predare la natura, perché i domestici da compagnia del futuro, che non necessitano di nutrizione alcuna se non di quella energetica, hanno le batterie al litio.

Niente feci e quando le cose si fanno dure, basta staccare la spina.

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