Futuro

Quando l’intelligenza artificiale passa dai call center

Un’azienda statunitense di riparazioni e assistenza domestica sta sperimentando l’uso dell’AI, dando vita a un’agente virtuale che interagisce con clienti e dipendenti
Credit: Alexander Andrews
Tempo di lettura 5 min lettura
1 marzo 2023 Aggiornato alle 10:00

Della relazione tra lavoro e intelligenza artificiale se ne parla sempre più spesso.

Tra le diffuse preoccupazioni di crede che in futuro molti lavori possano sparire e i dubbi scatenati dai progressi raggiunti dall’AI, le prime aziende stanno iniziando a esplorare questo mondo, soprattutto nel panorama statunitense.

Il Wall Street Journal ha documentato il caso dell’azienda di riparazioni e assistenza domestica HomeServe USA. L’azienda ,  che conta circa 5 milioni di clienti in tutto il Nord America , trova soluzioni a basso costo per riparare guasti elettrici o idraulici nelle abitazioni.

Dispone di un call-center in cui gli agenti si occupano di fornire una prima assistenza telefonica ai clienti, inviando poi operai esperti sul posto.

La novità introdotta dall’azienda

Data la grande crescita dei suoi affari, HomeServe ha deciso di assumere un nuovo collaboratore. Ma non si tratta di un collaboratore umano: è Charlie, un dipendente completamente virtuale e basato sull’intelligenza artificiale. È stato creato dall’azienda utilizzando diverse tecnologie AI, compresa una piattaforma di Google. Il suo funzionamento è molto simile all’ormai celebre ChatGPT.

Il chatbot risponde a più di 11.000 chiamate al giorno e le indirizza ai reparti competenti. Pianifica gli appuntamenti per le riparazioni, elabora richieste di risarcimento danni e suggerisce anche agli agenti il motivo per cui i clienti stanno chiamando, specificando se e dove è necessario intervenire.

Ma Charlie non piace a tutti: molti operatori hanno detto che il suo comportamento è autoritario. Impone condizioni da rispettare , come l’utilizzo di termini specifici , e penalizza gli agenti che sbagliano.

A volte indirizza chiamate a reparti sbagliati. In un’occasione ,  dice al WSJ Johnathan Bragg, un agente dell’azienda , il bot non ha capito che a un uomo era scoppiato il tubo dell’acqua e ha frainteso le sue richieste, rendendolo molto furioso.

Quale sarà il futuro di Charlie?

Per rendere Charlie più vicino possibile all’essere umano, il team creativo dell’azienda ha sviluppato un avatar molto simile ai suoi dipendenti, tentando di addossarle emozioni e passioni. È una donna, indossa un’uniforme rossa da lavoro, ha 42 anni ed è bruna. Proviene dall’Ohio, ama il Jazz e ha due figli.

Inizialmente i suoi compiti erano molto semplici, come salutare i clienti dicendo “Ciao, sono Charlie, la tua assistente digitale” o fare domande molto basilari, a esempio “Come mai ci stai chiamando?”.

Con il tempo però, Charlie ha iniziato a imparare come gestire e indirizzare le chiamate verso i reparti giusti e non intende fermarsi qui.

Dai piani più alti dell’azienda infatti, l’assistente virtuale sembra essere apprezzato: presto inizierà a essere modificato anche per dire agli agenti cosa fare e inizierà anche a giudicare le loro prestazioni. «Dovrebbe rendere il nostro lavoro più facile  -  continua Bragg - Io sono uno dei migliori qui, Charlie non è il mio supervisore».

Già per quest’anno, HomeServe ha riservato grandi progetti per l’assistente virtuale.

Come riportato dal WSJ, Charlie suggerirà agli agenti le parole da usare all’inizio di una conversazione e le soluzioni migliori da proporre ai clienti.

Inoltre potrà anche consigliare agli agenti come parlare, segnalando se stanno facendo troppe pause o se parlano troppo velocemente. Non saranno obblighi da rispettare, ma gli agenti verranno valutati tramite un punteggio in base alle loro prestazioni.

L’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro

Come sottolinea il WSJ, negli ultimi anni sempre più aziende stanno iniziando a utilizzare modelli di apprendimento automatico per analizzare le conversazioni tra i loro dipendenti e i clienti.

La tecnologia adesso è in grado di dare consigli agli esseri umani su come comportarsi o cosa dire in una conversazione, assumendo spesso un ruolo decisionale.

Numerose aziende statunitensi come Spectrum e Comcast Corp stanno già utilizzando l’intelligenza artificiale per rilevare e misurare le emozioni e i comportamenti umani tramite precise analisi.

La tecnologia riesce a valutare le parole, il contesto in cui vengono pronunciate e il tono utilizzato, dando poi un parere negativo o positivo ai sentimenti espressi.

Queste procedure, potrebbero sminuire i lavoratori con competenze avanzate e anni di esperienza nel relazionarsi con i clienti.

Quando poi l’intelligenza artificiale viene usata per misurare le emozioni, spesso sembra avere molti pregiudizi che la rendono poco affidabile, come quelli sulla voce maschile: «Spesso  - rivela al quotidiano statunitense una dipendente di Comcast  - le voci femminili sono composte da molti acuti che vengono valutati positivamente, mentre le voci maschili vengono spesso valutate negativamente, perché contengono meno acuti e sembrano esprimere poche emozioni».

L’intelligenza artificiale spesso penalizza i lavoratori o li sottopone a pressioni che li costringono anche a lasciare il lavoro.

Secondo Virginia Doellgast, professoressa e ricercatrice di relazioni lavorative alla Cornell University, gli esseri umani monitorati da un algoritmo hanno maggiori probabilità di andare in confusione e trovano più difficile risolvere i problemi dei clienti.

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