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Emergency: «No alle armi in Ucraina, sì alla diplomazia»

L’associazione umanitaria scende in piazza in oltre 50 città italiane e in Europa per chiedere la pace. Il vicepresidente Alessandro Bertani, intervistato da La Svolta, fa un bilancio della guerra a un anno dall’inizio
Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency
Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
24 febbraio 2023 Aggiornato alle 19:30

«Spero che le persone riescano a far sentire la propria voce e chiedano con insistenza ai Governi dei loro Paesi, in tutta Europa, che si intervenga come Onu, come forze diplomatiche internazionali, per ottenere subito un cessate il fuoco: il conflitto che continua a combattersi non porta da nessuna parte ed è necessario cominciare a creare le condizioni per porre fine a questa guerra».

Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, si rivolge ai cittadini e alla comunità internazionale a un anno dallo scoppio del conflitto in Ucraina: all’alba del 24 febbraio 2022 le truppe russe iniziarono a invadere il Paese da sud, da quei territori annessi dopo un referendum farsa nel 2014, e da allora il numero delle vittime non ha fatto altro che salire. Secondo le Nazioni Unite, i decessi tra i civili hanno raggiunto quota 8.000, e i feriti sono più di 13.000. Tra loro, almeno 487 bambini sono stati uccisi e 954 feriti, mentre si contano più di 13 milioni tra profughi e sfollati all’interno del Paese. Ma è probabile che i numeri reali siano molto più alti.

Dopo un anno di conflitto, e di fronte a queste drammatiche cifre, Emergency ribadisce la propria contrarietà alla guerra e aderisce alla rete Europe For Peace, che promuove una mobilitazione per la pace in 50 città italiane, ma non solo. Si tratta di un’iniziativa europea, con oltre 20 appuntamenti in Germania, Spagna e Portogallo. Più di 15 gli eventi confermati tra Parigi, Londra, Bruxelles e Vienna.

Che cosa chiederete dalle piazze di tutta Europa?

Lo stop al conflitto. Riteniamo che sia giusto chiederlo a gran voce, anche perché purtroppo i cittadini non possono fare molto di più per far sentire la propria contrarietà alla guerra. Come accade in tutti i conflitti, la guerra non la vuole fare il popolo, ma chi comanda e poi non va a farla davvero.

Si aspettava che avremmo visto l’anniversario di questo conflitto?

Francamente non credevamo nemmeno che si potesse arrivare davvero a un ulteriore conflitto alle porte di casa nostra, e la cosa più inaspettata di tutte è la mancanza di una reazione da parte della comunità internazionale davanti a questa tragedia: si pensa di poterla gestire, ma in realtà è come un incendio. Quando prende fuoco, devi fare di tutto il possibile per domarlo, per evitare che le fiamme si propaghino e diventi incontrollabile.

È quello che diciamo dal primo giorno: la mancanza della comunità internazionale si è fatta sentire fin da subito, perché non si è davvero fatto alcuno sforzo diplomatico vero e condiviso per far terminare il conflitto. Se ci imbattessimo in 2 persone lungo la strada che si stanno prendendo a pugni, nessuno di noi cercherebbe di fornire degli strumenti di difesa a chi è stato aggredito dal più forte, ma tenteremmo in ogni modo di risolvere la situazione in modo pacifico.

Perché questo la Comunità internazionale non l’ha fatto e continua a non farlo? Si sta giocando - per continuare con la metafora - con il fuoco, ed è un anno che ripetiamo che basta un nulla perché si trasformi in un conflitto nucleare. E allora ci sarà poco da dire su chi aveva ragione, chi aveva torto, o chi ha tirato la bomba per primo.

L’invio di armi, quindi, è fuori questione?

Noi eravamo contrari sin dal primo giorno perché per far finire una guerra non si devono mandare le armi: bisogna coinvolgere la comunità internazionale affinché faccia da intermezzo tra le 2 parti in conflitto. È passato un anno in cui ci hanno raccontato ogni giorno che serviva mandare altre armi per fermare la guerra: non credo che nessuno possa ragionevolmente dire che dopo un anno qualcosa si sia attenuato. L’invio di armi non serve a niente.

E cosa risponde a chi dice che si tratta di uno sforzo molto complesso?

Lo è finché non ci si prova davvero. Credo che sia molto più complesso pensare di risolvere una guerra con le armi e con un’ulteriore guerra: quello che abbiamo visto quest’anno è stato semplicemente più distruzione, più morti, più feriti e una lacerazione fra le 2 popolazioni, che si è fatta ancora più profonda e dunque ancora più problematica da rimarginare, sia tra chi questo conflitto lo sta vivendo in prima persona, che tra la comunità internazionale. Quanto ci rimetteremo a ricostruire i rapporti amichevoli tra le parti coinvolte?

Come si è mossa Emergency per aiutare il popolo ucraino?

Per prima cosa siamo intervenuti in Repubblica Moldova, dove in accordo con le comunità locali abbiamo individuato delle basi di appoggio perché ci aspettavamo un enorme flusso di profughi da Odessa, che in quel momento sembrava essere la città sotto scacco, o quantomeno il prossimo obiettivo per l’azione militare. Per fortuna questo non è successo, per cui siamo riusciti a creare delle basi anche per un intervento futuro e nel frattempo ci siamo occupati delle persone che abbiamo potuto visitare: dall’inizio del progetto abbiamo fornito assistenza medica e infermieristica a 486 pazienti, servizi di orientamento a 439 persone e supporto psicosociale a 153. Grazie al nostro progetto psicoeducativo, siamo riusciti a raggiungere anche 137 bambini rifugiati e le loro famiglie.

Nelle ultime settimane, poi, siamo andati nelle zone orientali dell’Ucraina, nel Donbass, e ora verificheremo se ci sono le condizioni per intervenire direttamente in quelle zone, visto che il conflitto non dà segni di poter cessare, quantomeno a breve. Dall’inizio dell’invasione è stato piuttosto difficile entrare nel Paese: non permettevano l’ingresso a nessuno se non per i rifornimenti di armi e di medicinali per gli ospedali militari. Gli interventi di Ong o di altri operatori internazionali sono stati estremamente limitati se non addirittura vietati.

Crede che l’opinione pubblica sia meno interessata a questo conflitto, soprattutto ora che è passato un anno dall’inizio?

Di recente ho letto dei dati da cui emerge che la popolazione non è meno interessata al conflitto, ma è contraria alla guerra e all’invio di ulteriori armi, oltre che favorevole a una soluzione diplomatica quanto prima possibile. Non si capisce perché queste strade non vengano seguite.

Questa guerra ha qualcosa di diverso rispetto alle altre che avete già seguito in quasi 30 anni di attività?

Non solo è più vicino, ma per la prima volta dopo gli anni della Guerra Fredda è un fronteggiarsi diretto tra superpotenze, che siano l’Europa e gli Stati Uniti da una parte, e la Russia e la Cina dall’altra. Per questo il rischio nucleare è veramente dietro l’angolo (Un giorno di pace, l’ultimo cortometraggio di Emergency e Ogilvy, si interroga sul significato della parola pace di fronte alla minaccia di un conflitto nucleare, ndr). E, come sempre accade per le guerre, questo è un conflitto che si fa sulla pelle di persone innocenti.

Credi che l’anno prossimo parleremo ancora della guerra in Ucraina?

Io mi auguro veramente che si trovi una soluzione diplomatica, anche perché sarebbe la più semplice, se veramente gli sforzi fossero orientati in quella direzione. Bisogna portare gli Stati che sono in conflitto a ragionare e a capire che non conviene a nessuno continuare a uccidersi o allontanarsi, anche in una prospettiva futura.

Che cosa avrebbe detto Gino Strada, il fondatore di Emergency, di questo conflitto?

Gino era contrario alla guerra e, anche in questo caso, avrebbe detto che non è altro che morte e distruzione e a pagare sono sempre i civili e non chi la guerra la vuole combattere, perché manda gli altri a farlo davvero. È rimasto inascoltato per anni e anche oggi avrebbe ripetuto esattamente le stesse cose. Vorrei che si ricordassero tutti un po’ di più delle sue parole, non solo perché sono giuste, ma perché sono parole che hanno sempre cercato di indicarci quali fossero i problemi e quali le soluzioni.

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