Ambiente

I cacciatori tutelano l’ambiente?

Coldiretti ha firmato il protocollo per la qualificazione dell’attività faunistico-venatoria, definendo chi pratica la caccia come “custode della biodiversità”
Credit: Andreas Dress
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
24 febbraio 2023 Aggiornato alle 18:00

Il cacciatore come paladino e presidio della biodiversità.

È la prospettiva inedita, in parte controversa, espressa da Coldiretti in occasione dell’evento ‘Custodi della biodiversità’ che si è svolto il 24 febbraio a Roma alla presenza del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida.

Nel corso della mattinata è stato firmato il protocollo per la qualificazione dell’attività faunistico-venatoria, presentato dall’associazione Ab Agrivenatoria Biodiversitalianata a luglio dello scorso anno dall’alleanza tra Coldiretti e Cncn (Comitato Nazionale Caccia e Natura) – insieme a Coldiretti, Federparchi e Fondazione Una (Uomo, Natura e Ambiente).

Obiettivo del documento, si legge nel comunicato diffuso da Coldiretti, è «quello di definire una nuova posizione per le Aziende Faunistico-Venatorie in Italia, attraverso proposte di aggiornamento delle normative che regolano il settore per agire in maniera coordinata sulle cause che stanno portando alla riduzione della biodiversità che caratterizza il nostro paese e alla ridotta produttività delle attività agricolo-faunistiche».

Tra i punti salienti del manifesto d’intenti c’è “la qualificazione dell’attività faunistico-venatoria in coerenza con l’ordinamento europeo, attraverso il riconoscimento delle attività faunistico-venatorie al pari delle attività agricole ai fini del mantenimento degli ecosistemi, della fauna e della flora selvatiche”.

La tesi di fondo è questa: la caccia opera da “selezione artificiale” contro le specie più invasive presenti in natura, quindi come tale va preservata e tutelata.

Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi, apre anche alla possibilità di estenderla ad altre specie, mentre Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti, parla di «demagogia» e «demonizzazione» del ruolo del cacciatore, e auspica che le attività faunistico-venatorie siano messe al centro di un percorso educativo a partire dalle scuole primarie.

Anche trascurando lo specismo intrinseco di queste posizioni, e pur ribadendo la condanna al bracconaggio – come fa Maurizio Zipponi, presidente di Fondazione Una –, l’impressione è che per abbattere il numero dei reati si voglia estendere la platea di ciò che è legittimo anziché colpire gli illeciti e inasprire le pene, e che ci si sforzi di trovare un risvolto ambientalista alla passione venatoria.

Affermando questo non si vogliono assumere posizioni ideologiche o preconcette, ma ragionare, pur avendo a cuore l’interesse delle nostre filiere produttive, al di là di possibili interessi di categoria a partire dai dati oggi disponibili.

Secondo il rapporto “La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia” pubblicato da Legambiente lo scorso anno, la normativa vigente tutela solo l’1,1% delle specie animali presenti sul territorio nazionale.

«Il numero complessivo di specie di mammiferi e uccelli cacciabili in Italia corrisponde oggi a ben 48 specie e rimane in assoluto uno dei più alti in tutta Europa, molto sopra la media europea che si ferma a 27 specie cacciabili», afferma Legambiente.

Inoltre la caccia serve davvero a tutelare l’ambiente? Prendiamo a titolo di esempio i cinghiali, diventati l’emblema del dibattito sul tema.

Nel periodo 2015-2021, secondo un’indagine diffusa all’inizio di quest’anno dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale), gli ungulati hanno causato danni all’agricoltura per circa 120 milioni di euro.

Ma è significativo notare che nello stesso periodo i cosiddetti “prelievi”, come vengono altrimenti chiamati gli abbattimenti, hanno registrato un incremento del 45%. In media sono stati uccisi circa 300.000 cinghiali l’anno: di questi l’86% in regime di caccia ordinaria, appena il 14% in attività di controllo faunistico.

«Questo costante aumento del fenomeno su scala nazionale – si legge nella nota riportata dalle agenzie di stampa – richiede l’adozione urgente di una strategia di intervento nazionale disegnata sulla base delle più aggiornate conoscenze scientifiche, che integri interventi di prevenzione dei danni e di contenimento delle popolazioni, e che assicuri prelievi selettivi e pianificati coerentemente con l’obiettivo prioritario di riduzione dei danni».

C’è da augurarsi perciò che l’Esecutivo elabori una strategia coerente con questa analisi, anche se il contestato emendamento che a dicembre ha ottenuto il via libera dalla commissione Bilancio della Camera sembra andare in tutt’altra direzione.

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