Lettere

Rinnovabili, facciamo il punto

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22 febbraio 2023 Aggiornato alle 10:30

Spettabile Redazione de La Svolta

Ho letto con interesse la lettera inviatavi riguardante il fotovoltaico e confermo tutto quello che vi è scritto in quanto anche io, da ormai oltre dieci anni, ho ripetuto la stessa cosa. Aggiungo che se in ogni tetto disponibile fosse installata una serie di pannelli, quanta energia gratis potremmo avere?

Un’altra grande opportunità mai presa in considerazione: pale eoliche di media o piccola dimensione ai lati di autostrade e ferrovie; lo spostamento d’aria quasi costante comporterebbe una quantità considerevole di energia…e non parliamo del mare!

L’idea, da me anche proposta più di dieci anni fa di sfruttare i deserti è interessante ma ci sono due ostacoli (uno comunque risolvibile ma a scapito di grossi impegni economici): primo, la lunga distanza che comporta tecnologie all’avanguardia per non perdere energia causata dalla lunghezza dei cavi; secondo, saremmo sempre dipendenti da nazioni estere dove la stabilità politica non è sicura al 100%.

Quindi, anche se proposi, e c’era anche uno studio al riguardo, la soluzione “deserto”, a ben vedere non è ottimale. Diventare autoctoni con pale e fotovoltaico togliendo tutti i paletti burocratici che ostano queste realizzazioni, e capire i motivi lobbistici esistenti al riguardo, ci liberebbe forse al 70/80% di tutta l’energia che dobbiamo comprare all’estero. Grazie della sua attenzione.

Paolo Frosini

Gentile Paolo Frosini

La lettera di Alberto Cordioli ci spinge a riflettere sul perché le rinnovabili, e il fotovoltaico in particolare, possono essere una soluzione di transizione energetica assolutamente da perseguire. Nel contempo, ci impone anche di prendere in considerazione alcuni elementi oggettivi, che a volte la passione benemerita per la svolta green ci può far dimenticare.

Il diavolo (a proposito di demonizzazione del fotovoltaico) sta nei dettagli.

Dei dettagli occorre avere la massima contezza, per poter poi mettere in campo proposte e soluzioni che davvero ci portino a un mondo nuovo e sostenibile.

Alberto ha avuto una esperienza diretta rispetto all’impatto economico positivo che un impianto fotovoltaico può portare, in termini di risparmio di denaro e, credo, di impatto emissivo sull’ambiente. La sua testimonianza certamente ci da certezze. Le sue astrazioni e proposte, un po’ meno.

Pur con la necessità di una significativa correzione dei dati, per quanto riguarda i kilometri quadrati di territorio e la produzione effettiva di energia di un pannello fotovoltaico in un’area desertica ed estremamente assolata (il surriscaldamento e il deposito di polvere sulla superficie del pannello fan sì che si produca tra il 23% e il 25% in meno rispetto all’energia fornita dalla radiazione solare), la proposta di avere mega impianti nel deserto teoricamente in grado di soddisfare il fabbisogno di elettrico mondiale non è una soluzione praticamente sufficiente allo scopo di soddisfare i consumi di noi tutti.

È un po’ come per il cibo, dove la capacità di produzione mondiale (pur con scenari di crisi a fronte dei cambiamenti climatici) sarebbe in grado di sfamare tutti, ma l’accesso al cibo senza redistribuzione della ricchezza, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, è il problema di quasi un miliardo di persone.

Tornando al fotovoltaico e alla produzione energetica concentrata nel deserto, esistono una serie di fattori ostativi che van considerati: innanzitutto l’energia prodotta va distribuita e, per il fotovoltaico in particolare, stoccata per una distribuzione in risposta della richiesta dell’energia stessa.

Dovremo quindi immaginare una rete mondiale di cavidotti (così come sono i gasdotti) e sistemi di accumulo (proprio come lo stoccaggio delle riserve del gas). Faccio i paragoni proprio con la produzione e distribuzione del gas per far riflettere, con l’esperienza che stiamo vivendo da più di un anno a questa parte, cosa significhi per la sicurezza energetica effettiva delle nazioni.

Per sfortuna o per ragioni di causa e effetto della geografia, le aree del Sahara appartengono a nazioni quasi sempre “fallite” (nel senso politico del termine, cioè nazioni in cui un governo non è in grado di applicare il proprio potere sui territori e sulla popolazione) e altrettanto spesso non proprio esempi eccelsi di democrazia.

Saluti,

Valerio Verderio