Ambiente

Edifici verdi, serve una (vera) decarbonizzazione

La direttiva europea sulle performance energetiche degli edifici verdi spinge verso ricostruzioni e ristrutturazioni green. Siamo sicuri che l’Italia sia in grado di farlo?
Credit: Hiroyuki Oki
Tempo di lettura 6 min lettura
19 febbraio 2023 Aggiornato alle 06:30

Una decina di giorni fa è arrivato il via libera dalla Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia del Parlamento europeo alla proposta di revisione della direttiva sulle performance energetiche degli edifici verdi. L’obiettivo delle nuove norme sarà ridurre sostanzialmente le emissioni di gas a effetto serra e il consumo finale di energia nel settore edile dell’Unione entro il 2030 e renderlo climaticamente neutro entro il 2050.

Considerato che il settore edilizio emette circa il 35% delle emissioni europee e che pesa per oltre il 40% dei consumi energetici è imperativo accelerare la transizione anche nell’ambiente costruito, che siano residenze, scuole, uffici o palazzi storici.

E come per ogni Direttiva sull’ambiente che nasce in Europa, nell’Italia da tastiera e da palazzo si sono subito levati gli scudi. «Stop alla Patrimoniale», «no ai diktat dell’Europa», «mettono le mani nelle tasche degli italiani», e altre sciocchezze.

Letta attraverso i commenti dei politici e di vari giornali la bozza di direttiva (che inizierà il processo del Trilogo europeo solo a marzo) risulta come un obbligo a ristrutturare a proprie spese la casa rendendola energeticamente efficiente entro il 2030, pena l’impossibilità di affittarla o venderla.

A provare a rimettere in ordine il dibattito è stato il ministro Gilberto Pichetto Fratin che ha ricordato che la proposta non prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati; che «gli Stati membri potranno stabilire criteri per esentare alcune categorie di edifici come gli immobili di valore architettonico o storico di cui l’Italia è il Paese più ricco al mondo; gli edifici di proprietà delle Forze armate o del Governo centrale e destinati a scopi di difesa nazionale; edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose».

Al momento è una misura con ampi margini di elasticità, che declina un impegno già assunto dal nostro Paese, la neutralità carbonica al 2050, e che tiene conto - invece di ignorarla come s’è detto e scritto - della peculiarità del nostro Paese, indicando per gli edifici esistenti un percorso da qui ai prossimi 27 anni i cui step saranno decisi a Roma e non a Bruxelles.

Ed è esattamente qua il problema: che Roma al momento non sembra aver ben chiaro il percorso che porterà a metà secolo alla neutralità carbonica sugli edifici e non solo.

Il primo tema è quello più banale, ovvero dell’inquadramento del messaggio. Efficientare e ristrutturare è visto dai cittadini sempre come un costo e non un’opportunità. Eppure ridurre le emissioni ci permetterà di ridurre i costi del cambiamento climatico (150 miliardi negli ultimi 10 anni) e potenzialmente il numero di morti legati ai fenomeni estremi (+15.000 morti premature a causa delle temperature fuori scala in Europa nell’estate 2022).

Il problema è come pagare ora un danno che si dovrà saldare gradualmente nel corso dei prossimi decenni e questo è fondamentale sia per il governo che per il mondo della finanza. Tra le soluzioni ci sono i finanziamenti agevolate con interessi ridotti (o addirittura con nuove soluzioni tipo quelle adottate dall’islamic banking, dove la proprietà degli impianti rimane all’istituto bancario finche le rate a interessi zero vengono interamente saldate), la cessione del credito di imposta, nuovi sistemi di certificati energetici per i privati da vendere sui mercati finanziari.

Eppure a vedere lo sbando del governo Meloni sul Bonus110% e il tema della cessione del credito non sembra ci sia un reale orientamento a trovare soluzioni ottimali o migliorative per trovare le reperire le risorse necessarie. Con o senza Direttiva EU.

C’è poi un’altra questione importante di cui non si discute veramente. Siamo sicuri che l’efficientamento tramite bonus 110% dell’ esistente fatto un po’ alla carlona come accaduto negli ultimi due anni, o le certificazioni Leed sui nuovi edifici rilasciate con un po’ troppa facilità, i progetti low carbon stile Bosco Verticale et similia, taglieranno davvero le emissioni di CO2? Oppure stiamo costruendo e realizzando case ed edifici sempre più grandi, complessi, tecnologicamente costosi, che magari sono certificate gold, platinum, con l’APE, la certificazione energetica in classe A+++ ma che di fatto hanno comunque consumi elevati?

L’analista attento si accorge che non si guarda a due variabili chiave: i consumi energetici e idrici reali (cioè misurati a contatore) e l’impatto energetico e carbonico dei materiali per realizzare ristrutturazioni e impianti.

Nel primo caso raramente si guarda in dettaglio ai consumi reali, dato che anche un edificio in classe A+++ può essere usato malissimo, tra finestre aperte, incapacità di manutenere gli impianti, comportamenti errati, con la conseguenza che la bolletta rimane alta. Secondo vari consulenti attivi nelle certificazioni energetiche nemmeno con le certificazioni di grande livello si trova un corrispondente reale nei consumi.

Nel secondo caso il costo energetico di ristrutturazioni (o nuove costruzioni) fatte in maniera non intelligente, senza sistemi modulari, circolari, realizzati con l’uso di sistemi informatizzati, oppure favorendo materiali davvero sostenibili, come il legno al posto del cemento, e circolari (rendendo obbligatorio il recupero dei materiali da demolizione ove possibile), rimane estremamente elevato e impattante, soprattutto in termini di emissioni.

Il risultato è un edificio che sulla carta ha performance energetiche buone, ma che ha avuto un impatto pazzesco in fase di realizzazione.

Questa mancanza di dibattito su cosa sono gli edifici verdi, rischia di far spendere un sacco di soldi per una decarbonizzazione che rimarrà incompleta, con buona pace degli obiettivi 2050, ma anche 2030. Ridurre il discorso a qualunquismi di stampo populista non serve ai cittadini, ai lavoratori, alle imprese. Senza un dibattito sano il risultato sarà che avremo pagato sia per la riqualificazione degli edifici in chiave di sostenibilità sia i danni da cambiamento climatico, dovuti all’incapacità di aver tagliato le emissioni davvero.

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