Futuro

La censura occidentale

La facilità con cui i potenti minacciano cause per diffamazione a chi scrive notizie che li riguardano è diventata una forma di limitazione della libertà di informazione. Ma in Europa qualcosa sta cambiando
Credit: Sachelle Babbar/ZUMA Wire
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16 febbraio 2023 Aggiornato alle 06:30

Il drammatico caso di Daphne Caruana Galizia resta un monumento che ricorda come funziona la censura in Europa. La giornalista uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017 a Malta aveva raccontato per anni la corruzione e il riciclaggio che si sviluppava tra la sua isola, Shanghai, Londra, Baku e Dubai.

Ma prima di finire assassinata, come riporta The Conversation, Caruana Galizia aveva dovuto fronteggiare una quantità di cause per diffamazione costosissime. Molti suoi colleghi avevano lasciato perdere. Lei ha continuato. Fino al tragico epilogo.

La fiducia è il fondamento di una convivenza civile, in un Paese democratico e in un’economia di mercato. Parte integrante di questa fiducia è la certezza che se qualcuno o qualcosa commettono atti che dovrebbero incrinare la fiducia della quale godono, la società ne sarà correttamente informata. Ma se i ricchi e potenti riescono a bloccare questo processo e a impedire che le notizie su di loro circolino nella forma più adatta a consentire alla società di farsi un’idea di come stanno le cose, tutto il sistema va in crisi. E si installa una sorta di sfiducia preventiva che può incrinare la qualità del dibattito democratico e la facilità degli scambi economici.

Le cause per diffamazione si vincono purché le notizie riportate siano documentate coscienziosamente e abbiano una rilevanza pubblica. Ma affrontarle è sempre molto costoso. E anche avendo ragione è un impegno spesso difficile fronteggiare.

È chiaro che il sistema dell’informazione di qualità è in piena crisi, soffocata da una quantità di pseudo notizie immerse in grandi narrazioni dense più di opinioni che di fatti.

È altrettanto chiaro che di una informazione di qualità c’è sempre più bisogno. È sicuramente una questione articolata e complessa, che comprende il tema dei modelli di business del giornalismo, gli interessi degli editori, l’attenzione del pubblico, oltre naturalmente alla cultura, alla dedizione e al metodo dei professionisti dell’informazione.

Il tutto è immerso nell’insieme delle tendenze, sociali, economiche, politiche, che servono alla tenuta complessiva della società: il barometro Edelman in proposito mostra che la tenuta del tessuto sociale è incrinata da una montante sfiducia, soprattutto nei confronti delle istituzioni politiche e dei media, mentre apparentemente le aziende nell’insieme si mantengono più credibili.

C’è bisogno di iniziative. E forse occorrono riforme. Perché paradossalmente, le regole attuali sembrano salvaguardare di più la libertà di esprimere credenze generiche e poco fondate, piuttosto che il lavoro dei professionisti che raccolgono tutta la documentazione necessaria per dimostrare le malversazioni, la corruzione, l’incompetenza, dei ricchi e potenti.

Le difficoltà di frenare la disinformazione, in nome della libertà di espressione, restano importanti. Anche perché l’autocontrollo delle piattaforme è realizzato solo in funzione della visione soggettiva dei loro proprietari, come dimostra la vicenda di Twitter. Mentre la facilità di lanciare cause per diffamazione per quantità di denaro enormi è estremamente efficace per generare censura e soprattutto autocensura negli organi di informazione.

Le riforme però stanno avvenendo. Le responsabilità delle piattaforme che alimentano la disinformazione sono ormai previste dal Digital Services Act entrato in vigore alla fine del 2022 grazie all’azione della Commissione europea. E il cambiamento delle regole per contrastare le cause temerarie per diffamazione sta andando avanti a Bruxelles.

Una direttiva in proposito è stata proposta in aprile 2022 e dovrebbe rendere molto semplice per i tribunali europei risolvere velocemente le cause di diffamazione senza fondamento.

Anche nel Regno Unito avanza un dibattito in proposito. Intanto, il Media Freedom Act potrebbe rendere i giornalisti più indipendenti.

Va notato che il processo per arrivare all’approvazione delle direttive è più lento di quello che serve ai regolamenti europei, che pure devono passare attraverso il vaglio di molte istituzioni e raggiungere un consenso generalizzato, anche perché le direttive poi vanno ratificate dagli Stati.

Una maggiore energia, da parte delle istituzioni europee, da questo punto di vista sarebbe auspicabile. Anche alla luce del fatto che gli scandali recenti che hanno coinvolto alte cariche del Parlamento europeo richiedono una forte azione orientata a ristabilire il rapporto di fiducia.

Di quella azione fa parte certamente anche il rilancio dell’informazione documentata, dopo gli anni dell’abbuffata di opinioni in libertà sui social network e prima di una possibile invasione di testi generati automaticamente da intelligenze artificiali del tutto disinteressate alla qualità dell’informazione.

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