Bambini

Social network fin da piccoli: ci sono davvero solo rischi?

La psicoterapeuta Laura Dalla Ragione ha spiegato a La Svolta che spesso i bambini subiscono «una pressione sociale dai coetanei». Secondo Francesca Fiore, sono «un’occasione di crescita e responsabilizzazione»
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
14 febbraio 2023 Aggiornato alle 11:15

«Gli smartphone sono un po’ come la Tv degli anni ’70. I genitori tentavano di limitarne l’utilizzo a 2 o 3 ore al giorno, ma poi i ragazzini andavano a guardarla da qualche altra parte, a casa degli amici o dei compagni di classe. Con i nuovi device abbiamo la riproposizione, in modalità e dimensioni diverse, di un problema vecchio».

A parlare è Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, fondatrice della Rete per i Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 dell’Umbria e docente al Campus Biomedico di Roma del Corso sui Disturbi del Comportamento Alimentare, a marzo in libreria - insieme a Raffaela Vanzetta - con Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari, edito da Pensiero Scientifico Editore.

L’American Academy of Pediatrics ha osservato negli anni una vera e propria impennata del numero di bambini sul web: nel 2011, il 52% dei bambini da 0 a 8 anni aveva già accesso a dispositivi mobili come pc e smartphone; dal 2013, la percentuale è cresciuta del 75%; oggi l’età di utilizzo è scesa drasticamente e si stima che la maggior parte - oltre il 90% - dei bambini al di sotto dei 2 anni usi quotidianamente un dispositivo mobile.

Il consiglio della dottoressa Dalla Ragione è di esercitare un certo controllo almeno fino ai 12 anni. «Per legge, in Italia, nessun minore sotto i 13 anni potrebbe iscriversi su un social network per esempio. Dopo, lo può fare, ma solo con l’autorizzazione dei genitori. Quello che succede nella realtà però è ben diverso. I bambini molto spesso usano uno smartphone personale già durante la scuola primaria e aprono un profilo social prima di compiere 13 anni, semplicemente inserendo una data di nascita falsa. Il grande problema è il cosiddetto “condizionamento esterno”, che rende quasi inevitabile a un certo punto l’acquisto di un cellulare da mettere nelle mani del bambino, una sorta di pressione sociale dovuta dai suoi coetanei». E continua: «In ogni caso, è fondamentale interessarsi ai contenuti che guardano, fare molte domande, cercare di mantenere sempre uno sguardo vigile».

È d’accordo Francesca Fiore, aka Mamma di Merda insieme a Sarah Malnerich: «Avendo figlie di 12 e 9 anni, cerco di non assumere atteggiamenti tirannici o eccessivamente giudicanti. Sono consapevole del fatto che potrebbero trovare mille modi diversi per eludere i miei divieti, quindi, mi pongo di fronte al problema in modo diverso».

Sono in ascesa, poi, app e software in grado di monitorare l’uso dei dispositivi e la navigazione web da parte dei bambini: Spazio Bimbi Parental Control (Android), Modalità sicurezza per bambini (Kid’s Shell, Android), Qustodio Free (Windows, Mac OS X, Android, iOS, Kindle, Nook), Norton Family (Windows, Android, iOS), KidLogger (Windows, Android, iOS), Controllo Genitori Screen Time (Android, iOS, Kindle) e tante altre, disponibili in versioni gratuite o a pagamento, con degli optional in più. Alcune si limitano a operare un controllo, altre possono persino bloccare le attività online del bambino.

«Personalmente, ancora non ne avverto la necessità - afferma Francesca Fiore - Per adesso, sento di avere un canale di comunicazione aperto con le mie figlie su questo fronte. Mi raccontano ciò che guardano e con la più piccola spesso e volentieri scrolliamo TikTok e gli altri social insieme. Ma, in caso contrario, potrei pensare di utilizzare applicazioni del genere per tenere sotto controllo la situazione».

Lo studio della University of Pennsylvania, pubblicato sul Journal of Social and Clinical Psychology e confermato da altre ricerche, ha riscontrato un nesso di causa-effetto tra la quantità di tempo speso sui social network - come Facebook, Snapchat, TikTok e Instagram - e l’aumento di sindromi depressive, disturbi dell’ansia, iperattività e scarsa concentrazione nei bambini e nei ragazzi. Non a caso, da qualche anno si parla di Fomo per definire la paura di restare senza connessioni, tagliati fuori (dall’inglese fear of missing out).

Una correlazione che sembra sussistere anche nel caso dei disturbi alimentari. «Un problema che arriva da lontano. C’è la tendenza da parte dei genitori a lasciare che i figli mangino in modo distratto. Addirittura ci sono mamme che allattano, scrollando lo smartphone o ordinando la spesa online. Giovani mamme lavoratrici, che senza un’adeguata rete di supporto, vivono la propria maternità, e tutte le nuove problematiche che comporta, in solitudine - continua Dalla Ragione. - Ma il neonato ha una visuale di 20 centimetri e per il resto vede tutto appannato. Quei 20 centimetri lo separano dallo sguardo della madre che non ricambia il suo sguardo, perché concentrata sullo smartphone. Queste dinamiche interferiscono profondamente nel rapporto con il bambino».

In particolare, «i disturbi alimentari sono collegati a due questioni: una è la propria immagine corporea e l’altra è l’alimentazione, entrambe ampiamente trattate (non sempre nel modo più corretto) da social media, influencer, fitness blogger e food blogger. Un altro importante fattore è rappresentato dall’uso degli strumenti tecnologici da parte degli adolescenti, aumentato a dismisura tra il 2020 e il 2021. Questa sovraesposizione dei ragazzi ai social ha imposto nuovi modelli di magrezza, nuovi comportamenti alimentari, messaggi distorti legati alla propria immagine e una generalizzata insoddisfazione corporea».

«L’età media di esordio di casi di bulimia e anoressia si è notevolmente abbassata negli ultimi anni, arrivando a interessare anche la fascia compresa tra gli 8-9 e gli 11-12 anni. Nel lavoro che svolgo all’USL e al Campus Biomedico, c’è una fase di anamnesi, in cui io e i miei colleghi poniamo una serie di domande per capire che tipo di pagine il bambino abbia visitato su TikTok o Instagram. Poi, discutiamo assieme a lui, con il supporto di psicologi e di nutrizionisti, le informazioni che ha appreso da internet, cercando di dare al ragazzo gli strumenti per capire la differenza tra informazione e disinformazione. Si tratta sempre di una discussione paritaria, laica e senza giudizio. Solo così ci si può avvicinare davvero alla sofferenza del paziente»

Alla domanda a bruciapelo “rischio o risorsa?”, Francesca Fiore non ha dubbi. «Naturalmente, dato anche il mio lavoro, sul piatto della bilancia tendono a pesare più i lati positivi che quelli negativi. I device digitali sono strumenti potentissimi e di conseguenza potenzialmente pericolosi, ma non vanno demonizzati. Rappresentano anche un’occasione di crescita imperdibile, un momento in cui il bambino/ragazzo sperimenta per la prima volta una certa indipendenza e una forma di responsabilizzazione rispetto alla figura genitoriale».

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