Ambiente

I crediti di carbonio tutelano l’ambiente?

Molte aziende si rivolgono al certificatore Verra per dimostrare il loro impegno contro la crisi climatica. Con la pubblicazione dell’inchiesta di The Guardian e Die Zeit, il metodo è stato però (ri)messo in discussione
Credit: Luke Jones
Tempo di lettura 5 min lettura
13 febbraio 2023 Aggiornato alle 16:00

Funziona il sistema delle compensazioni di carbonio? Quanto è controllato e come evitare che si trasformi in greenwashing?

Dalle industre all’aviazione, dalle grandi multinazionali sino a piccole società su scala globale, milioni di imprese nel mondo oggi “compensano” le loro emissioni climalteranti acquistando impegni per progetti che riguardano soprattutto la piantumazione di alberi o il miglioramento dei suoli.

In sostanza, si continua a inquinare ma si “pareggia” il conto favorendo le foreste e il ruolo degli alberi che assorbono CO2. Un sistema utile per mantenere gli equilibri ma troppo spesso difficile e complesso da certificare.

In alcuni casi - come ha svelato una inchiesta di The Guardian e Die Zeit - si tratta però di “crediti fantasma”, di qualcosa che non avviene.

L’indagine ha svelato infatti che oltre il 90% delle compensazioni di carbonio della foresta pluviale da parte di uno dei grandi gruppi a cui si affidano le aziende per rimediare ai loro danni non esiste o non ha valore.

L’inchiesta si è concentrata sull’operato di Verra, uno dei più importanti certificatori mondiali sulle compensazioni (rappresenta il 40% dei crediti a livello globale), cui si affidano per le compensazioni per esempio di Disney, Shell, EasyJet, Gucci e altri grandi marchi oppure band come i Pearl Jam.

Molte aziende si rivolgono a Verra per poter etichettare i loro prodotti come carbon neutral o per dimostrare il loro impegno contro la crisi climatica. Da quanto scoperto però si tratterebbe in molti casi di crediti fittizi che non rappresentano reali riduzioni di carbonio e, anzi, potrebbero persino influire negativamente sull’avanzata del surriscaldamento. Per nove mesi i giornalisti britannici e tedeschi con SoruceMaterial (giornalismo investigativo) hanno analizzato gli schemi e gli studi scientifici di Verra sulle operazioni di compensazione nelle foreste pluviali del mondo.

Hanno anche parlato con le comunità indigene, intervistato scienziati e addetti ai lavori e scoperto che in realtà solo una manciata di progetti per la foresta pluviale ha effettivamente aiutato a ridurre la deforestazione, mentre il “94% dei crediti non ha avuto alcun beneficio per il clima”.

Eppure Verra, che ha sede a Washington, ha emesso più di 1 miliardo di crediti di carbonio.

L’azienda ha smentito quanto indicato dall’inchiesta sostenendo che il loro operato “dal 2009 ha consentito di incanalare miliardi di dollari per il lavoro vitale di conservazione delle foreste”.

Con l’aiuto di due diversi gruppi di scienziati, tra cui quelli di Cambridge, i cronisti hanno provato a scavare a fondo scoprendo che solo otto di 29 progetti approvati da Verra hanno apportato significative riduzioni della deforestazione. Ventuno progetti in realtà “non hanno avuto benefici per il clima”, sette risultavano tra il 52 e il 98% minori rispetto gli impegni affermati e solo uno ha avuto un “impatto rilevante”.

Verra ha fortemente contestato le conclusioni sostenendo che i metodi utilizzati dagli scienziati non sottolineano il vero impatto sul suolo e sulle foreste rispetto all’operato reale.

Verra ha certificato oltre 1.500 progetti di carbonio, che sono stati valutati decine di migliaia di volte da revisori di terze parti. Hanno erogato miliardi di dollari per le aree rurali del sud del mondo, a sostegno dell’azione contro il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Questo livello di finanziamento è stato fornito grazie a solidi standard e metodologie, che continueremo a rafforzare, in collaborazione con governi, scienziati e comunità locali in tutto il mondo” è una delle affermazioni da parte del gruppo per opporsi a quanto emerso dall’inchiesta.

Il caso dell’organizzazione statunitense non è l’unico che negli ultimi tempi è finito sotto la lente di ingrandimento: di recente il programma Cash Investigation ha per esempio raccontato come PUR Projet, società parigina a cui si è affidata anche Nespresso, ha sì finanziato piantumazioni di alberi in Perù ma queste, senza controlli successivi, sarebbero state in parte distrutte solo pochi anni dopo.

Queste e altri rivelazioni hanno portato sempre più società a chiedersi se la corsa ai crediti di carbonio funzioni davvero per la lotta al surriscaldamento globale.

«Dopo la corsa ai crediti di carbonio, stiamo assistendo a una stasi delle aziende, con i clienti che ci chiedono di controllare la qualità dell’assorbimento di carbonio», ha detto per esempio Renaud Bettin, responsabile dell’azione per il clima di Sweep, società che sviluppato una soluzione di assistenza alla riduzione delle emissioni per le aziende.

La necessità di maggiori controlli per il mercato delle compensazioni è una questione sempre più sentita in Europa.

A fine 2022 la Commissione europea ha annunciato l’intenzione di fare chiarezza proprio su questo punto e stabilire degli standard per certificare lo stoccaggio del carbonio, come quello dei suoli agricoli.

Nel frattempo, diversi gruppi ambientalisti stanno chiedendo una maggiore attenzione sulla questione dei crediti di carbonio che dovrebbero, ma troppo spesso non lo sono, essere comprati e venduti con un metodo efficace per compensare le emissioni climalteranti e non come potenziali operazioni di greenwashing.

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