Culture

Sanremo: la vittoria dedicata alle artiste (ma nessuna nella top 5)

Marco Mengoni, vincitore della 73° edizione, ha omaggiato le (poche) donne in gara. Tra un brano e l’altro, una lettera ucraina, un bacio improvvisato e il ritorno del brand activism
Credit: ANSA/ETTORE FERRARI
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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12 febbraio 2023 Aggiornato alle 12:00

I pronostici della vigilia per una volta non si sono smentiti. Succede raramente che i verdetti sanciti prima che tutto cominci rispecchino ciò che alla fine davvero accade ma questa volta il vincitore annunciato ha davvero sollevato il leone d’oro di Sanremo. A tardissima notte Marco Mengoni ha vinto il 73° Festival di Sanremo e lo ha dedicato a tutte le cantanti che hanno partecipato. «Siamo arrivati in 5 ragazzi ma ci sono artiste che hanno portato pezzi meravigliosi su questo palco».

Un tuttimaschi del quale finalmente un maschio si è accorto. Una dedica sicuramente fatta in buona fede ma che decisamente non basta per definire il Festival uno spettacolo paritario. Le donne all’Ariston sono ancora la luccicante cornice di un gioco da uomini, condotto, pensato, realizzato e cantato da maschi, con le figure femminili a fare da ancelle del patriarcato, belle, brave, preparatissime, sempre sul pezzo.

Un finale un po’ così dunque di una puntata talmente lunga che si fatica quasi a ricordare cosa sia successo prima.

La lettera di Zelensky

Tentando di riavvolgere il nastro partendo dalla fine, forse il momento di punta è stato toccato quando l’adrenalina per il verdetto finale era ai massimi livelli, ovvero tra le esibizioni dei 5 finalisti e la proclamazione del vincitore.

È a quel punto che Amadeus ha letto la tanto attesa, ma anche criticata a priori, osteggiata e temuta lettera del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in ritardo rispetto alla scaletta ufficiale.

Semplice ma emozionante, seguita dall’esibizione della band ucraina Antytila, ha toccato le corde giuste parlando di libertà, legata a filo doppio con quella cultura di cui la musica è parte integrante. «Invito i vincitori di quest’anno a Kyev il giorno della vittoria, della nostra vittoria. Sono sicuro che un giorno ascolteremo tutti insieme la nostra canzone della vittoria».

Con queste parole si è concluso un messaggio in cui la pace è emersa come valore universale, da insegnare ai bambini come forma di amore che non conosca barriere o limiti.

Di amore, fluidità e polemiche

L’amore a Sanremo ha sempre parlato la lingua della musica con canzoni che nel corso dei decenni hanno narrato storie incredibili, addii memorabili, pentimenti e struggimenti. Nulla è cambiato nel tempo, se non che quest’anno a salire sul palco dell’Ariston è stata finalmente una narrazione più inclusiva.

Se è vero che il fuoco sprigionato dagli occhi dei Coma Cosa “lo hanno visto tutti”, come recita una strofa della loro canzone, in pochi a esempio si sono accorti che il brano di Ariete è dedicato a una ragazza. Un particolare sfuggito ai più proprio perché ininfluente.

L’amore è amore in qualunque forma, anche le più dissacranti, come quella di Rosa Chemical, da più parti criticato, che durante la sua esibizione ha coinvolto Fedez in un bacio appassionato a favor di telecamera. Protagonista anche quando avrebbe dovuto essere solo il supporto silenzioso della moglie, il cantante si è trasformato nel volto, oltre che della polemica tra il Governo e i vertici Rai, della sensibilizzazione sanremese alla causa Lgbtq+. Con stupore ma nemmeno troppa, visto che i Ferragnez includono da tempo nella loro comunicazione la sensibilizzazione verso temi civili e sociali.

L’emancipazione femminile passa anche da un vestito

Lo ha fatto anche Chiara Ferragni ieri sera, continuando il racconto per abiti iniziato la prima puntata. 4 quelli indossati per la finale, tutti rivolti al superamento degli stereotipi di genere e alla rivendicazione di un’identità femminile che non deve passare attraverso definizioni date da altri.

Le donne non devono assumere comportamenti o look maschili per dimostrare capacità di leadership e men che meno essere legate inscindibilmente al concetto di procreazione. Particolarmente incisivo per affermare quest’ultimo concetto, il terzo outfit. Un abito nero e lineare decorato con una grande collana dorata a forma di utero, composta da diverse sezioni di corpo femminile. Realizzato da Schiapparelli, ribadisce che i diritti riproduttivi sono diritti umani. “L’accesso all’aborto sicuro e alla procreazione assistita è una questione di diritti umani a cui non dobbiamo rinunciare. Perché ogni essere umano, uomo o donna che sia, deve essere messo in grado di prendere liberamente le decisioni sul proprio corpo”, scrive sul proprio profilo Instagram Ferragni, non nuova a prese di posizioni decise in difesa del la legge 194 sul diritto all’aborto.

C’è chi la chiama strategia, chi posizionamento, chi brand activism utile solo a catalizzare su di lei attenzione e sempre più guadagni. A prescindere da come la si pensi sull’influencer numero 1 del globo una cosa è certa: non dovrebbe essere lei a indicare la rotta ma la politica, invece è dal suo account che arriva il monito che nessuno dovrebbe mai perdere di vista: “non permettiamo che le lotte vinte dalle nostre madri debbano essere combattute anche dalle nostre figlie”.

Un augurio che sa di speranza e che ha accompagnato la serata fino alla sua naturale conclusione, guardata con un occhio aperto e uno chiuso ma ancora con un briciolo di lucidità utile per dire che bello il Festival, però Ama, il prossimo anno meno cantanti che adesso ci serve una settimana per riprenderci dal jet-leg sanremese.

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