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«La parte più difficile di fare un figlio è immaginarlo»: il monologo di Chiara Francini

L’attrice e co-conduttrice della quarta serata ha portato sul palco dell’Ariston il tema delle donne senza figli attraverso un toccante dialogo col suo “bambino non ancora nato”
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11 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

Arriva un momento nella vita in cui è chiaro che sei diventato grande. Quando hai un figlio. Ora, io un figlio non ce l’ho, però credo che sia una di quelle cose dopo la quale è chiaro che non potrai essere più giovane come quando avevi 16 anni con il liceo, la discoteca e il motorino.

E c’è un momento in cui tutti intorno a te cominciano a figliare, è una valanga ma inizia sempre da una che lo sapevi che sarebbe diventata mamma prima di tutte. Nel mio caso? La Lucia. C’è stato un giorno dopo qualche anno della fine del liceo, che la Lucia mi aveva chiesto di vederci. Era pomeriggio, eravamo al bar della piscina e lei mi guardava tutta emozionata. Io anche un pochino perplessa di tutto questo entusiasmo. Stava lì e non diceva nulla. E poi a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto, mi fa: “Oddio, finalmente te lo posso dire, sono incinta”. Incinta?

Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, è come qualcosa che ti esplode dentro, una specie di buco in mezzo agli organi vitali. E mentre accade tutto questo tu devi festeggiare perché la gente è incinta è violenta e vuole soltanto essere festeggiata. E non c’è spazio per la tua paura, per la tua solitudine, tu devi festeggiare.

Come l’albero di Natale che tengo nel mio salotto, un albero di Natale sempre acceso, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine anche a luglio, fuori tempo massimo, una festa continua senza nessuna Natività. E io ho festeggiato, ma dai, Lucia, ma è stupendo. E poi? Non sapere più che cosa dire e quello era soltanto l’inizio.

Perché di lì a poco mi pareva che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo o avrebbero avuto un figlio. Passeggini, passeggini ovunque, un esercito di donne coi capelli corti e di maschi stempiati con la panza, che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni d’amore.

E io? E io? E io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano. E poi?

E poi io a un certo punto mi sono accorta che se non mi sbrigavo io forse un figlio non ce l’avrei mai avuto. E che, anche se mi sbrigavo poi non era mica detto, perché poi anche quando ti decidi poi magari il corpo ti fai il dito medio e allora tu pensi di aver aspettato troppo, di essere una fallita.

La parte più difficile di fare un figlio e immaginarselo. Immaginarsi come sarà. E se poi fa delle cose che io non condivido? E se poi viene troppo diverso da me? Beh, nel mio caso di sicuro verrà diverso da me.

Ma io vorrei sapere come faccio con te, bambino ancora non sei nato. Ancora non so neanche se riesco a farti nascere che già non ci capiamo. Io te lo dico eh, avere una mamma come me ti creerà soltanto un sacco di problemi. Io so. E quasi, spero che se sarai maschio sarai gay e io ti amerò senza una fine, però forse preferirei che non lo fossi, perché per te sarà più difficile.

Io vorrei che per te fosse facile. Ti prego, vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che si deve odiare, il male, l’ingiustizia, perché è con quell’odio che si fa tutto. Non è vero che si fa con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile. Ti prego, non essere una di quelle creature troppo buone, perché sennò dovrei passare tutta la vita a difenderti. E c’è il caso che tu venga una creatura meno capace di guardare, meno capace di di camminare. Io vorrei fare come la mia mamma che non mi ha mai preso nel suo lettone. Piangerai nel tuo letto. Devo essere abbastanza forte da lasciarti piangere, non devo essere debole.

Ma lo vedi come va? Come se tutto dipendesse da me, come se tu non esistessi ancor prima di esistere. Io da qualche parte penso di essere una donna di merda. Perché non so cucinare perché non mi sono mai sposata. E perché non ho avuto figli? Io lo so che razionalmente non è così, però c’è questa voce che esiste e io alla fine penso che abbia ragione lei. Che io sia sbagliata.

E io già lo so bambino. Tu mi porterai via tutta la creatività, tutta la luce, ci sarai soltanto tu al centro della scena.

Io sarò una semplice comparsa e poi diventerò grande e poi diventerò vecchia e non potrò più far finta che il tempo non stia passando, perché ci sarai tu a ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù è finita.

E io penso che mi farai così felice che poi non mi farai mai così felice. Perché è così che vanno le cose della vita, non sono mai come te le eri aspettate. E io ti aspetto e ti desidero cosi tanto. Che sarai per forza una delusione, ma come parlo? Ma che mamma sono? No? Ancora non sono una mamma.

Ma quanto mi è costato diventare come sono? E quanto costerà a te? E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare? In mezzo a questo amore, a questa vita, io, io forse non so più dove metterti. O forse penso che sei tu che non vuoi venire da me, perché pensi che io mi sia dimenticata di te e che io mi sia dimenticata della vita. Ma io volevo soltanto essere brava. Io volevo soltanto essere preparata. Io volevo soltanto che tu fossi fiero di me, anche se ancora non ci sei. Forse perché ci sei sempre stato.

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