Lettere

Pelle vegana ed ecopelle. Si dice o non si dice?

Tempo di lettura 6 min lettura
8 febbraio 2023 Aggiornato alle 17:15

Gent.mo Direttore

La scrivente è l’Associazione nazionale di categoria dell’industria conciaria (Unic). […] Da anni Unic è impegnata nel ripristino di una corretta terminologia nel settore della pelle. Invero, gli sforzi di anni da parte di tutto il comparto per ottenere e offrire un materiale di eccellenza e sostenibile sono spesso “sfruttati” da aziende che pur producendo materiali diversi, ne utilizzano la terminologia (nello specifico le parole “pelle” e “cuoio”) appropriandosi di un’immagine e di una definizione che non appartengono a tali aziende, creando confusione anche al consumatore finale, che così deve districarsi tra definizioni poco chiare e fuorvianti, come a es. “ecopelle”, “pelle vegana”, “pelle ecologica” ecc. A tale riguardo, nel Vostro sito è stato pubblicato un articolo […] intitolato “Fleather, la pelle vegana realizzata con i fiori del Gange”, in cui si ravvisa l’uso improprio e fuorviante per il lettore/consumatore del termine “pelle” /”leather” e delle espressioni “pelle vegana” e “ecopelli” per pubblicizzare un materiale che nulla ha a che vedere con la pelle di animale. Oltre al titolo, si fa riferimento in particolar modo ai seguenti passaggi “[…]A svilupparla è stata Phool (letteralmente “fiore” in hindi), una startup con sede a Kanpur, nel nord del Paese, che mira a innovare il mercato della pelle vegana e insidiare quello, ad alto impatto ambientale, della pelle animale”.“[…] Agarwalha tentato di risolvere il problema inizialmente trasformandoli in incenso e oli essenziali, nel 2017. Un anno più tardi però ha scoperto che potevano essere destinati a un uso diverso: la produzione di pelle vegana”. “[…]La maggior parte delle ecopelli, fino a ora, sono però realizzate con la plastica, quindi sempre partendo dai combustibili fossili”. Si segnala che il 24 ottobre 2020 è entrato in vigore il D.Lgs. n. 68/2020, che, nel disciplinare il corretto utilizzo dei termini «pelle» e «cuoio», ha chiaramente stabilito che gli stessi possono essere utilizzati esclusivamente per identificare materiali - o prodotti con essi realizzati - derivanti da spoglie di animali. Il decreto ha, inoltre, espressamente riconosciuto la decettività - vietandone l’uso - di espressioni quali “ecopelle”, “ecoleather”, “pelle vegana”, “vegan leather” e similari che, accostate a materiali che nulla hanno a che fare con la pelle, traggono in inganno il consumatore medio sull’effettiva natura del prodotto, sfruttando “pelle” e “leather” per la loro attrazione commerciale, inducendolo ad assumere decisioni di acquisto che non avrebbe altrimenti preso. Con particolare riferimento al termine “ecopelle”, anche la Commissione Ue ha preso posizione sulla questione: le linee guida del 25/05/2016 per l’applicazione della Direttiva 2005/29 CE sulle pratiche sleali, hanno precisato che è ingannevole l’uso, nelle comunicazioni pubblicitarie, del termine ecopelle per la presentazione di prodotti che non siano stati realizzati con materiali di origine animale. D’altra parte, se l’obiettivo è proprio quello di discostarsi dall’origine animale, non si comprende per quali altre ragioni -se non per l’unico scopo di agganciarsi parassitariamente a un materiale più prestigioso senza averne le caratteristiche -si accosti “pelle” / “leather” a un materiale che non deriva da spoglie di animali. E infatti nel Vostro articolo si legge “Nella ‘Mecca dell’industria della pelle indiana’ è nata un’alternativa sostenibile per borse, portafogli e sandali. Si chiama Fleathered è un nuovo materiale realizzato con i fiori utilizzati nei templi per i riti quotidiani e poi dispersi nel fiume Gange. “[…]Il processo è stato perfezionato sempre più nel tempo e anche la conciatura è realizzata in modo naturale, tramite l’essicazione con una soluzione di polveri di corteccia d’albero. La pelle è sottile e morbida e ha un aspetto molto simile a quella animale: viene tinta e goffrata con un motivo a serpente o coccodrillo. Per il futuro però, Phoolmira a renderla più resistente, in modo da poter realizzare anche cinture ed essere davvero competitivi sul mercato”. In ogni caso, l’uso delle predette espressioni decettive costituisce anche pubblicità ingannevole e scorretta, già rilevante sotto il profilo del D.Lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo”), nonché pratica commerciale scorretta a norma della Direttiva 2005/29 CE. Alla luce di quanto sopra, La prego di evitare in futuro l’uso, nelle Vostre pubblicazioni, del termine “pelle”/”leather” e di espressioni quali “pelle vegana”, “ecopelli” e similari, se non per materiali di effettiva derivazioni animale. Infine, alcuni considerazioni sul messaggio veicolato da alcune affermazioni presenti nell’articolo per cui il processo conciario non sarebbe sostenibile, quali a esempio “[…]A svilupparla è stata Phool (letteralmente “fiore” in hindi), una startup con sede a Kanpur, nel nord del Paese, che mira a innovare il mercato della pelle vegana e insidiare quello, ad alto impatto ambientale, della pelle animale. “[…]L’interesse per la moda sostenibile infatti è sempre più diffuso, man mano che cresce la consapevolezza del suo impatto sugli ecosistemi. La conciatura di cuoio, per esempio, richiede moltissima acqua ed energia e il trattamento chimico per renderlo liscio disperde diversi metalli pesanti nell’ambiente”. È bene ricordare al riguardo che la sostenibilità è una priorità imprescindibile per l’industria conciaria italiana e il report annuale di settore sulla sostenibilità - realizzato da Unic e consultabile dal sito www.unic.it - documenta i risultati di tale impegno. Non solo, la sostenibilità della pelle (soprattutto quella italiana, la cui “eccellenza” è riconosciuta in tutto il Mondo) è argomento sviscerato da anni e di ampia e dettagliata discussione a livello internazionale (con tanto di coinvolgimento di organismi internazionali come Ue e agenzie Onu), ed è un impegno certificato da numerose parti terze (in altre parole la pelle è “trasparente” sotto questo aspetto), al contrario di quella solo presunta di questi nuovi materiali che tanto viene decantata anapoditticamente, ma mai dimostrata, ed è basata su mere dichiarazioni dei produttori, con evidenti fini commerciali, senza richiamare evidenze scientifiche o di parti terze. La ringrazio per l’attenzione e la collaborazione e, con l’occasione, invio i miei migliori saluti.

Fulvia Bacchi Direttore Generale Unic

Gentilissima direttrice Fulvia Bacci

La ringraziamo per la lettera, che ci ha permesso di riflettere sull’utilizzo delle parole all’interno della nostra testata, e sulla loro importanza.

Dopo aver letto – e successivamente controllato noi stessi i riferimenti legislativi citati (in particolare il decreto legislativo 9 giugno 2020 n.68 e la direttiva 2005/29/CE) – penso che sarebbe utile un confronto aperto circa l’utilizzo corretto del termine pelle – inteso come tessuto e indumento – perché non vediamo come potremmo chiamare altrimenti – ecopelle – un tessuto tessuto/indumento che ha le sembianze della pelle seppur non di derivazione animale.

Nel nostro ruolo di quotidiano, il fine che ci anima è informativo e divulgativo, e non di marketing né pubblicitario.

Non mi sento quindi in nessun modo obbligata a cambiare modalita di descrizione del prodotto visto che peraltro, tutti gli stilisti internazionali chiamano “ecopelle” i prodotti nei loro negozi, virtuali e non.

Se disponibile e interessata, Le proporremmo un momento in cui confrontarci circa le terminologie adatte per descrivere moda, e i prodotto ecologici a essa legata.

Sarebbe un’occasione utile anche chi ci legge, ed è interessato a essere informato in modo corretto e puntuale.

La ringraziamo per l’attenzione e le auguriamo buon lavoro.

Cristina Sivieri Tagliabue