Bambini

I nipoti non possono essere costretti a vedere i nonni

In caso di contrasto con i genitori del minore, prevale sempre l’interesse del bambino. La pronuncia della Cassazione
Credit: Clément Falize
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
2 febbraio 2023 Aggiornato alle 12:00

La Cassazione ha stabilito che il diritto dei nonni a frequentare i nipoti non può prevalere sull’interesse dei minori che, invece, si dimostrano contrari a una relazione con loro. L’ipotetico pregiudizio che potrebbe derivare dall’assenza di queste figure nel loro percorso di crescita non è sufficiente da solo a giustificare un obbligo per i bambini di vedere i propri ascendenti. I nonni - ed eventualmente gli zii - devono appianare i contrasti e le tensioni con i genitori del minore se vogliono esercitare il loro diritto, non incondizionato, a vederlo.

Il caso - che ha fatto piuttosto scalpore, arrivando fino alla Corte di legittimità - riguarda il ricorso di una coppia di genitori volto a evitare gli incontri, non graditi dai figli minori con i nonni e uno zio paterno, a causa dei forti contrasti tra i parenti, problematiche che avevano addirittura spinto un giudice a prescrivere alla nonna paterna l’assistenza di uno psichiatra a causa dell’elevata conflittualità. Un provvedimento poi revocato.

Per la Corte Suprema, bisogna sempre tenere ben saldo il principio dell’interesse superiore del minore. Un criterio che finisce per prevalere sia sull’interesse dei genitori che, a maggior ragione, su quello di altri familiari: “È fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale e affettivo, con la linea articolata delle generazioni che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine”.

Relazioni che, normalmente, “funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo”. Ci sono però i casi particolari in cui il risultato dei rapport generano “situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni”.

L’intervento del giudice in questo ambito deve tenere conto del fatto che l’articolo 317-bis del Codice civile, nel riconoscere un vero e proprio diritto a mantenere rapporti di una certa intensità con i nipoti minorenni, non ha una portata incondizionata “ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l’esclusivo interesse del minore”.

Il fine è dunque la “realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale e affettiva del nipote”. Un fine che può essere realizzato solo grazie alla buona volontà degli adulti, i quali devono in questi casi “sotterrare l’ascia di guerra” per il benessere psicologico dei bambini.

Viene ribaltata dunque la precedente pronuncia della Corte d’Appello, la quale aveva accolto il ricorso dei nonni in base alla constatazione relativa all’assenza di un reale pregiudizio per i nipoti nel frequentarli.

La verifica va condotta “in termini positivi, della possibilità per gli ascendenti di prendere fruttuosamente parte attiva alla vita dei nipoti attraverso la costruzione di un rapporto relazionale e affettivo e in maniera tale da favorire il sano ed equilibrato sviluppo della loro personalità”. In altri termini - conclude la Cassazione - “non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un reale pregiudizio” ma è l’ascendente “a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all’interesse del discendente”.

Infine, “Come in caso di conflittualità fra genitori e ascendenti non si tratti di assicurare tutela a potestà contrapposte individuando quale delle due debba prevalere sull’altra, ma di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell’intera comunità parentale”.

Compito del giudice non è dunque individuare quale dei parenti debba vincere sull’altro, ma di stabilire, sempre nel superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici, o addirittura conflittuali, fra i parenti adulti “si possano comporre e come ciò debba avvenire”.

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