Culture

Ascesa e declino dei quotidiani giapponesi

I giornali cartacei nipponici hanno perso 10 milioni di copie in 5 anni, mentre Yahoo! News succhia il 54% dell’informazione online. Ma le resistenze al digitale arrivano anche dall’interno delle redazioni
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 febbraio 2023 Aggiornato alle 19:00

Dieci milioni di giornali in meno in cinque anni: è quanto ha perso il mercato della carta stampata in Giappone, secondo una tendenza che dalle parti di Tokyo sembra più accentuata di quella riscontrabile a livello globale da un tempo lungo a sufficienza da non fare più notizia.

Al ritmo degli ultimi cinque anni, sostiene Taro Kamematsu, professore all’Università del Kansai citato in un recente articolo pubblicato sulla testata francese Le Figaro, i quotidiani giapponesi saranno completamente scomparsi entro il 2037.

In Giappone i principali quotidiani nazionali (zenkokushi) sono in tutto cinque: l’Asahi Shimbun, il Mainichi Shimbun, lo Yomiuri Shimbun, il Nihon Keizai Shimbun – spesso abbreviato come Nikkei Shimbun – e il Sankei Shimbun.

Ognuno di essi può contare su due edizioni al giorno, una mattutina e una serale – nonostante la versione della sede di Tokyo del Sankei sia pubblicata solo al mattino –, e secondo quanto dichiarato dall’enciclopedia online Kotobank, da soli rappresentano più della metà della tiratura di tutti i giornali giapponesi.

«La stampa quotidiana giapponese è stata a lungo un’eccezione in un panorama mediatico globale in cui questo tipo di pubblicazione è stata duramente colpita da diverse crisi, in particolare la crisi dei lettori e degli introiti pubblicitari», spiega in un lungo articolo sul tema César Castellvi, sociologo affiliato al Centro di ricerche sul Giappone (Ccj) della Scuola di studi superiori in Scienze sociali (Ehess) con sede a Parigi.

Nel 2018, quattro delle dieci maggiori tirature mondiali erano rappresentate dai quotidiani giapponesi. A spiegare la salute della stampa nipponica, secondo Castellvi, è in primo luogo il ruolo rivestito dagli abbonamenti, che rappresentano il 95% delle vendite dei giornali.

A ciò si aggiunge la capillarità e l’efficienza delle grandi reti di distribuzione, che appartengono direttamente alle principali società di quotidiani, e il senso di appartenenza nazionale. Kaori Hayashi, specialista dei media presso l’Università di Tokyo, ha definito l’abbonamento al quotidiano «una delle prove della cittadinanza giapponese».

«Tuttavia – aggiunge Castellvi – le recenti trasformazioni nelle pratiche di lettura e l’invecchiamento dei lettori tradizionali rendono questo modello insostenibile».

La curva negativa è iniziata a partire dal 1997, quando al calo delle vendite è seguita la contrazione dei ricavi pubblicitari mentre, in Giappone come altrove, «l’espansione digitale nelle redazioni stenta ad affermarsi come un nuovo modello».

Per avere un’idea della fragilità dei media tradizionali nel mercato digitale, basti pensare che il portale gratuito Yahoo! News rappresenta da solo il 54% dell’accesso all’informazione online.

«Abbiamo circa 800.000 abbonati paganti al sito, ma non compensano il calo delle entrate cartacee», ha dichiarato un giornalista del Nikkei. È significativo che il quotidiano economico sia forse quello che ha registrato la performance migliore nel digitale, e nel 2015 ha completato l’acquisizione del Financial Times per 844 milioni di sterline.

Ma le resistenze dipendono anche dagli stessi giornali. Lo Yomiuri Shimbun, che nel 2010 è entrato nel Guinness World Record per essere il quotidiano più diffuso al mondo e nel 2021 vantava una circolazione di 8 milioni di copie per l’edizione mattutina, non prevede neppure un abbonamento esclusivo per l’edizione digitale.

I prezzi offerti dai principali quotidiani per le loro versioni digitali, inoltre, non si discostano molto da quelli della versione cartacea, che in molti casi continua a essere il paradigma di riferimento. Per quanto ancora?

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