Futuro

Tecnologia: donne e minoranze più colpite dai licenziamenti

Le dipendenti, oltre ai lavoratori neri e di origine latina, sono quelle che più subiscono la crisi della Silicon Valley che negli ultimi mesi ha lasciato a casa migliaia di persone. Anche per il ruolo che ricoprono
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
1 febbraio 2023 Aggiornato alle 09:00

Le donne e i lavoratori di origine latina hanno subito rispettivamente il 46,64% e l’11,49% dei licenziamenti che hanno interessato l’industria tecnologica tra settembre e dicembre 2022, mentre questi segmenti rappresentano rispettivamente il 39,09% e il 9,96% dell’intero settore.

A rilevarlo è Revelio Labs, una società di analisi dei dati nel mercato del lavoro che ha incrociato il monitoraggio dei licenziamenti nelle società tech realizzato da Layoffs.fyi e il database Parachute sulla forza lavoro espulsa dai recenti ridimensionamenti del personale realizzato dell’agenzia di reclutamento Rocket.

Segno che donne e minoranze stanno ricevendo in modo più duro il contraccolpo della recente crisi della Silicon Valley, che negli ultimi mesi ha visto protagoniste Big Tech come Google, Meta, Amazon, Twitter e Microsoft in un’ondata di licenziamenti senza precedenti per numeri e modalità.

Un’evidenza nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni da alcune di queste aziende per migliorare i propri parametri di diversità, equità e inclusione (Dei). Nel suo ultimo rapporto sulla diversità, a esempio, Meta afferma che tra il 2019 e il 2022 l’azienda ha raddoppiato il numero di dipendenti donne, neri e ispanici.

Tuttavia le donne rappresentano ancora il 37,1% della forza lavoro complessiva contro il 62,9% degli uomini, percentuale che scende al 36,7% per i ruoli di leadership a dispetto del +6,7% registrato rispetto al 2018.

Neri e ispanici, invece, rappresentano rispettivamente il 4,9% e il 6,7% del totale a fronte del 46,5% di dipendenti asiatici e del 37,6% di bianchi. Nei ruoli di comando, questi ultimi sono però il 57,6%, pur con un decremento del 12,1% rispetto al 2018, quando erano il 69,7%.

Insomma i numeri crescono ma non abbastanza, e ciò dipende anche dal fatto che molti di questi dipendenti vengono impiegati nei reparti più vulnerabili. Come spiegava la Harvard Business Review già nel 2016, «le aziende in modalità di taglio del personale vedono i ruoli che le donne e le minoranze tendono ad avere come sacrificabili».

«Se sono entrati nella dirigenza – spiega lo studio condotto da Alexandra Kalev su oltre 800 aziende statunitensi – per la maggior parte sono di livello junior o medio, nominati di recente o lavorano in aree come le risorse umane, gli uffici legali e le pubbliche relazioni, funzioni che sono vantaggiose ma che di solito non vengono percepite come fulcro dell’attività».

A dicembre, Twitter è finita al centro di una causa legale intentata da due ex dipendenti presso la corte federale di San Francisco con l’accusa di aver licenziato il 57% delle donne a fronte del 47% degli uomini, divario che per le mansioni di ingegneria salirebbe a 63% contro 48%.

Inoltre secondo Donald Tomaskovic-Devey, professore di sociologia presso l’Università del Massachusetts che ha studiato i dati sulle pari opportunità di lavoro negli Stati Uniti per il periodo 2008-2016, solo il 7% delle aziende tecnologiche sta attivamente cercando di diversificare la propria forza lavoro.

«Se non hai una forza lavoro diversificata, otterrai tecnologie che esacerberanno le disuguaglianze nella nostra società», ha dichiarato Sarah Kaplan, direttrice dell’Institute for Gender and the Economy presso la Rotman School of Management dell’Università di Toronto.

«Dovremmo preoccuparci del fatto che il settore tecnologico non sia diversificato – ha aggiunto – perché sta creando tecnologie che danno forma alle nostre vite».

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