Bambini

Il monologo di Sorrentino diverte tutti. Siamo sicuri ci sia da ridere?

Le parole del regista partenopeo nella serie Call My Agent fanno riflettere sul - sacrosanto - diritto alla noia dei bambini. Non c’è bisogno di programmare tutte le loro giornate: non sono adulti in miniatura
Credit: EPA/JALAL MORCHIDI
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 gennaio 2023 Aggiornato alle 18:35

Sicuramente in questi giorni ti è capitato di vederlo o quanto meno di sentirne parlare. È stato postato, ricondiviso, analizzato e commentato. Stiamo parlando del monologo di Paolo Sorrentino sulla scuola in Call My Agent - Italia, la serie targata Sky, rifacimento della francese Dix Pur Cent, che racconta le rocambolesche avventure di un gruppo di agenti cinematografici.

Il regista partenopeo per la seconda volta dopo anni interpreta se stesso sul piccolo schermo: era già accaduto in una celebre puntata di Boris. Stavolta a dirigerlo è Luca Ribuoli e a fargli da spalla durante la scena, l’attore Vittorio Baronciani.

Non è neanche la prima volta che una clip che lo vede protagonista diviene virale. Alcuni mesi fa, il suo divertentissimo discorso al matrimonio della coppia di amici Osanna - De Marchi aveva fatto faville sul web.

Nella seconda puntata della produzione Sky, intitolata Paolo, in una splendida terrazza affacciata su Piazza del Popolo a Roma, il cineasta partenopeo racconta di aver accompagnato il nipote all’incontro trimestrale genitori-figli, definendolo «la cosa più prossima alla morte».

Con la sua ironia pungente e inconfondibile, Sorrentino spiega che «Nella scuola si può trovare il sentimento più orrendo dell’essere umano: l’entusiasmo immotivato». E aggiunge: «Ha cominciato un genitore che suonava la batteria: ha detto io posso fare un corso pomeridiano di batteria per i bambini. C’è stata una ola dei genitori. A quel punto la moglie, che insegna Macarena, ha detto facciamo un corso di Macarena. La Macarena è importantissima, sprigiona la creatività. Applausi, giubilo, un consenso generale dei genitori».

Il monologo del regista fa ridere. E fa ridere proprio perché contiene un fondo di verità. Al di là della rappresentazione comica e azzeccatissima dei genitori, sono almeno 2 gli aspetti su cui soffermarsi.

Il primo riguarda l’effettivo coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica dei figli, un coinvolgimento molto più attivo rispetto al passato. È senz’altro sano interessarsi agli impegni e alle attività dei propri bambini, ma è anche indispensabile mantenere ferma una linea di demarcazione tra la dimensione familiare e quella della scuola.

Proprio la classe infatti è il luogo in cui per la prima volta il bambino sperimenta un certo grado di indipendenza, impara a considerarsi un individuo a sé stante rispetto alle figure genitoriali, a rapportarsi autonomamente con i suoi coetanei e con gli adulti e di conseguenza a responsabilizzarsi. Invadere questa sfera, in passato sottratta più agevolmente all’occhio vigile di una mamma o di un papà, rischia di minare il processo di crescita che va oltre la didattica e che è racchiuso nell’esperienza scolastica in sé per sé.

Uno studio condotto da un team di ricercatori dell’HSE University del corso in Trajectories in Education and Careers (TrEC) e pubblicato da Eurkalert ha analizzato tra il 2011 e il 2015 gli effetti sugli studenti di un controllo più o meno pervasivo da parte dei genitori. Un interessamento meno invadente, che non puntava a organizzare lo studio e le attività extra scolastiche, finiva per stimolare molto di più la curiosità e l’entusiasmo degli alunni per la scuola.

L’altro elemento che merita una riflessione è il cosiddetto diritto alla noia dei bambini. «Io ho detto che i miei figli sono grandi, ma quando erano piccoli andavano a scuola e giocavano di pomeriggio per i fatti loro. E tutto sommato mi sembrano felici».

La risposta di Sorrentino alla maestra cela un’urgenza disarmante nella sua semplicità: restituire dignità e importanza al tempo libero dei bambini, un tempo che dovrebbero investire esclusivamente a loro piacimento e perché no, persino non facendo nulla.

Negli anni ‘80 Mary Winn e altri pedagogisti americani definirono i bambini di allora “bambini senza infanzia”. Un paradosso ancora più evidente nei bambini di oggi, impegnatissimi come adulti in miniatura, indaffarati tra scuola, corsi di nuoto e chitarra, compiti a casa, saggi di danza e partite di calcio.

Il dramma e l’ansia di dover organizzare e riempire la giornata dei propri figli come un palinsesto televisivo è una stortura dei nostri giorni, una proiezione delle nostre frenetiche routine lavorative sulla vita dei più piccoli.

E se è il caso di riscoprire il tempo perso, la noia e l’ozio per noi adulti, a maggior ragione è d’obbligo concederli ai nostri bambini.

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