Culture

Zelensky a Sanremo cancella il lato tragico della guerra

La spettacolarizzazione del conflitto è un errore. Perché confonde i registri, mettendo sullo stesso piano ciò che è comico e ciò che non lo è. Proprio per nulla
Credit: EPA/ CLEMENS BILAN

Non è chiaro esattamente cosa pensasse la direzione Rai nel momento in cui ha deciso, insieme agli organizzatori del Festival, di invitare il leader ucraino Zelensky a Sanremo. Probabilmente, ha pensato a lui esattamente alla stregua di un personaggio famoso, come poteva essere una super influencer o un rapper di fama mondiale. Insomma, come la carta vincente da giocare per fare più audience. In questo modo, confermando quella rappresentazione di Zelensky che egli stesso ha dato nel corso dei mesi di guerra. Leader politico e personaggio dello show business, stratega di guerra e campione di apparizione, come al Festival di Cannes o sulla copertina di Vanity Fair.

Italiani stanchi della guerra

I motivi per cui questa scelta è sbagliata sono tanti e non hanno nulla a che fare col fatto di non capire la distinzione tra aggressore e aggredito.

Partiamo anzitutto dalla audience: il rischio che Zelensky la faccia diminuire anziché aumentare è reale. Perché? Semplicemente perché è passato un anno di guerra. La gente si è assuefatta al dolore, ai morti, allo strazio. O meglio: è stanca, esausta, non vuole più la guerra, non vuole neanche più – stando a tutti i sondaggi, tra cui uno di Greenpeace pubblicato a metà gennaio – l’invio di armi. In questo quadro di insofferenza alla guerra, riproporre di nuovo il leader ucraino rischia semmai provocare reazioni di rigetto, il contrario di quanto lo stesso Zelensky si aspetta.

In generale, la spettacolarizzazione della guerra è stata fin dall’inizio profondamente controproducente oltre che sbagliata. I media italiani si sono gettati sul conflitto con un pathos senza pari. Un pathos sbagliato, però, fatto di storie strazianti e raccontate quasi con violenza, di corpi martoriati esibiti in prima serata - senza pudore, senza rispetto - e una valanga di opinioni spesso tese a delegittimare l’avversario italiano nel dibattito invece che a riflettere sull’immensa tragedia della guerra.

Il nostro sistema mediatico ha ingoiato la guerra e l’ha risputata come ormai fa, banalizzandola fino all’estremo, stordendo i lettori e gli ascoltatori con emozioni sempre più violente, messaggi sempre più estremi - come riguardo il conflitto nucleare - letteralmente impossibili da assimilare. La conseguenza non è stata una sensibilizzazione, ma una totale anestetizzazione.

Così, esattamente come per guerre lontane, la guerra che doveva essere a casa nostra ha prodotto un’enorme indifferenza. Che ha danneggiato gli aggrediti, gli ucraini, oltre ogni misura. Di questo, le nostre tv, i giornali, le radio hanno una grande responsabilità.

Dare voce alle vittime, semmai

Ma la spettacolarizzazione della guerra è ancora più sbagliata in quanto cancella il suo lato tragico. Eppure la guerra non è solo tragica come aggettivazione: è letteralmente la tragedia per antonomasia, è ciò che si fa fatica persino a pensare, prima ancora che vivere, per la sua inaudita, infinita drammaticità. In questi giorni in cui ricordiamo la Shoah possiamo forse capire meglio: ricordiamo i racconti, rileggiamo i libri. L’orrore arriva nella sua enormità, ascoltando le testimonianze dei sopravvissuti.

Ospitare Zelensky a Sanremo significa confondere i registri. Significa mischiare tragico e comico o leggero, fino a rendere il tragico privo di senso. Se si fosse voluto restituire il senso di una tragicità, se si fosse voluto mandare un messaggio alle persone, allora, forse, al limite, si sarebbe dovuta invitare una donna ucraina. Che raccontasse ciò che ha vissuto. E, anche, al tempo stesso, la madre di un soldato russo morto. Perché, se aggressore e aggredito non sono mai paragonabili, le vittime invece sono solo vittime.

Mi viene in mente, parlando di questo, il cimitero inglese in Normandia: una distesa di croci bianche, un luogo affollato, curato. Non lontano da quello, sempre in Normandia, c’è anche il cimitero tedesco. Le croci sono nere, le persone molte di meno, il silenzio ancora più stridente. Sulle croci, però, ci sono date identiche, quelle di ragazzi di 17,18, 19 anni, morti in guerra. Tedeschi e inglesi, uguali nella fine.

A Sanremo non c’è spazio per chiaroscuri e conflitto

Purtroppo questo livello narrativo, che risponde anche alla verità storica sulle vittime, è impossibile da chiedere a un festival come Sanremo. A Sanremo la tragedia è impossibile. A Sanremo ci può essere qualche monologo: ci sarà sicuramente, come quello di Chiara Ferragni sulla violenza delle donne o le difficoltà delle madri, che però sarà semplicemente la solita vaga ombreggiatura sullo sfondo pastello, luminoso, accecante del Festival.

A Sanremo si può parlare di qualsiasi cosa perché comunque il contesto la neutralizzerà sempre. Non c’è spazio per il conflitto vero, dunque per il dramma, dunque per l’angoscia. Per questo è del tutto insensato invitare Zelensky. Perché, in definitiva, è un’offesa non solo agli ucraini stessi, a tutti quelli che hanno subito perdite, a chi non ha più niente, a un Paese distrutto. Tutto ciò dovrebbe imporre silenzio, non canzonette e non è retorica.

Non basta: invitare Zelensky al Festival, banalizzando quindi la tragedia, mi pare un’offesa anche per gli italiani. Che hanno vissuto, pure se non paragonabile, una tragedia anch’essi. Pensiamo alle migliaia di persone in fila alla Caritas. Pensiamo alle aziende in ginocchio per le bollette. A quante famiglie non sono potute partire, a quanti bambini hanno dovuto rinunciare all’essenziale. Per l’assurdità della nostra dipendenza energetica da un Paese senza sole, noi che siamo il Paese del sole che saremmo potuti diventare indipendenti energeticamente in pochi anni.

Questo è un altro discorso, ma anche per rispetto a tutti gli italiani che alla guerra un tributo l’hanno pagato è bene che il conflitto non sia spettacolarizzato.

Un’occasione persa per parlare di pace

Dopo di che, se la Rai lo conferma, Zelensky andrà e il Festival si confermerà per ciò che è. Un enorme apparato che per una settimana distrae gli italiani dai loro dolori, ammesso che ci riesca, ma non nel senso dell’intrattenimento vero, quello che ti fa divertire senza cancellare le emozioni profonde. Con i suoi siparietti, con le diatribe sui vestiti, con le canzoni che parlano sempre e solo ossessivamente di privato mentre tutto ciò che oggi conta è fuori - guerra compresa - Sanremo lobotomizza più che intrattenere.

Personalmente, non lo guardo da anni e non per snobismo, ma perché, appunto, non è capace di sospendere per un po’ la mia preoccupazione, la mia ansia verso ciò che accade. Solo l’intrattenimento intelligente, solo i grandi comedian, l’ironia vera, oppure il vero pathos, è capace di rendere più leggero il dramma della vita e delle notizie a cui assistiamo senza al tempo stesso cancellarne la portata. Sanremo non può farlo. Per questo, di nuovo, è del tutto inopportuna la presenza di un Capo di Stato di un Paese distrutto dalla guerra.

Non è possibile dimenticare infine che Sanremo è una trasmissione del servizio pubblico, che noi tutti paghiamo. Invitare uno Capo di Stato significa entrare nel campo della politica che sarebbe un campo di discussione, di punti di vista non sempre combacianti, di libertà di parola, di confronto. Perché di guerra, di politica, di geopolitica si discute. E lo si fa in altri contesti, su altri canali.

E a proposito di geopolitica e guerra, invitando Zelensky si perde anche l’occasione per parlare di ciò che più conta: ovvero di pace. Un messaggio universale, chiaro, che non rischia di essere di parte in nessun modo. Ci sarebbero stati tanti modi per parlare di pace, e possono essere modi simbolici, creativi, poetici, non per forza letterali. Ma, di nuovo, Sanremo esclude tutti questi registri. E la presenza di Zelensky lo conferma.

In definitiva, come sempre, siamo capaci solo del più bieco conformismo.

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