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A Torino germogliano le startup

Al via il primo acceleratore italiano dedicato alle smart city: tra le 12 realtà selezionate nel mondo, 3 sono italiane
Credit: Fabio Fistariol
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
26 gennaio 2022 Aggiornato alle 11:00

Alla fine dell’Ottocento le Officine Grandi Riparazioni di Torino, meglio conosciute come Ogr, erano un’eccellenza nel campo della manutenzione delle locomotive e dei vagoni ferroviari. Oggi l’ex complesso industriale rimesso a nuovo ospita le startup.

Torino Cities of the Future Accelerator, il primo acceleratore italiano di startup dedicato alle Smart City, prende il via proprio alle Ogr. Si tratta di una iniziativa promossa da Compagnia di San Paolo, Fondazione Crt e Intesa San Paolo Innovation Center, che collaborano con l’americana Techstars, originaria del Colorado. Una partnership nata nel 2019 per favorire lo sviluppo della metropoli piemontese come polo internazionale per l’innovazione, accelerando startup provenienti da ogni angolo del mondo.

Techstars ha un portafoglio di oltre 2.600 startup accelerate, di cui il 71% attive, con un valore totale di azioni in circolazione sul mercato pari a 63 miliardi di dollari: è uno dei più importanti acceleratori al mondo, ne gestisce 40 in 34 Paesi e lavora con le corporate che hanno bisogno di avere, ogni anno, un gruppo di startup da cui trarre quell’innovazione che serve alle proprie unità di business. Nel caso di Torino, il progetto è più ampio perché vuole portare una ricaduta positiva sul territorio in maniera più estesa.

Ma, prima di tutto, che cosa vuol dire “accelerare” una startup? Lo spiega Valentina Berbotto, Liason Partner del programma di Techstars per Intesa San Paolo: «Significa vivere un periodo altamente immersivo in esperienze e attività funzionali alla crescita della startup. In queste 13 settimane i team scelti hanno una guida, un managing director che le ha scelte e le supporta nelle loro fasi di sviluppo: entrano in contatto con più di 100 mentors da tutto il mondo (esperti di varie discipline, capaci di guidare gli startupper in ogni fase di sviluppo del progetto, fino alla costruzione di un’impresa vera e propria, ndr) che portiamo insieme a Techstars ma che cerchiamo anche sul territorio locale».

Le startup gli si rivolgono per due motivi: o per allargare il proprio network, quindi per cominciare a imbastire future relazioni di business, oppure per affrontare e risolvere tematiche tecniche. Poi c’è la componente di investimento: se le startup fanno un percorso di accelerazione con Techstars, ricevono anche una somma che è diretta per l’azienda americana e indiretta per gli istituti bancari, che finanziano l’iniziativa.

Le startup affrontano un processo di selezione che tiene conto non solo dell’idea, ma anche e soprattutto del team: «I cambiamenti in corso d’opera, molto frequenti nella vita di una startup, possono essere cavalcati bene solo se il team è forte», spiega Berbotto, «e Techstars è interessata anche alle aziende che si incastrano bene con l’ecosistema di Torino. Poi c’è l’intervento di un comitato che guarda più da vicino le semifinaliste, dove noi portiamo al tavolo le aziende del territorio e la Città di Torino, e da qui si arriva alle finaliste».

Le startup selezionate sono 12 all’anno e in totale è stato raccolto un capitale di oltre 27 milioni di dollari per le 23 ancora attive: «Non è banale che lo siano, perché il fallimento è un fattore fisiologico per una startup. Ma c’è stata una risposta positiva sia in termini di fatturato che di fundraising, cioè da parte degli investitori». Come in tutte le realtà, ci sono quelle che brillano più delle altre e quelle che fanno più fatica. Ma tutte le startup selezionate sanno sopravvivere anche ai cambiamenti improvvisi, come è successo a GetHenry, che si focalizzava sul mondo dell’hospitality e con l’avvento della pandemia ha dovuto virare sul food delivery, gestendo biciclette e pattini elettrici per i merch e fornendo un servizio business to business con sede a Milano. E non si tratta dell’unica realtà che ha piantato le radici in Italia: le startup locali sono cresciute nel tempo, eguagliando le americane che, nelle prime classi, erano in maggioranza.

«Come Latitudo40, napoletana di origini, che ha aperto una sede a Torino. O la vicina di casa Family+Happy, che ha ideato un servizio su misura di selezione di baby sitter certificate. O Gymnasio, per il fitness domestico» racconta Berbotto. Come spiega Vincenzo Antonetti, dell’Innovation Center di Intesa Sanpaolo, «Techstars ha scelto Torino per focalizzarsi sulla smart mobility e sulla smart transportation con le prime due classi, quelle del 2020 e del 2021, mentre questa e la prossima edizione si focalizzano sul concetto di smart city». Sono smart tutte quelle tecnologie intelligenti che rendono una città connessa, come «Internet of things, mobilità autonoma, veicoli elettrici, device che comunicano tra di loro, mobilità sostenibile, sharing mobility, smart building con sistemi di controllo che li rendono autosufficienti» chiarisce Antonetti.

E Torino è un attore fondamentale in questo panorama: «Tre startup dell’ultima classe sono torinesi e questo è un segnale che il programma, di portata internazionale, ha avuto delle ottime ricadute locali. Altre due startup hanno sede all’estero, in Francia e Svizzera, ma il team è tutto italiano e ha forti legami con il Politecnico di Torino» spiega Berbotto. «La città, infatti, si posiziona benissimo nel panorama innovativo italiano, europeo e internazionale» aggiunge Antonetti. «Le Università di primo livello come UniTO e il Politecnico sono molto attive su progetti di innovazione. Poi c’è Torino City Lab, un insieme di progetti di sviluppo tecnologico su realtà come la guida autonoma, il volo dei droni, il 5G, tutte promosse dalla municipalità cittadina anche attraverso la Casa delle Tecnologie Emergenti, il Programma di supporto alle tecnologie emergenti. La città è un sistema molto fertile che rende attrattive queste sperimentazioni. E poi ci sono tante persone, culture e storie, più un passato legato all’automotive».

E l’Italia, nel panorama internazionale, come si colloca? «Siamo considerati un Paese moderatamente innovatore, perché non siamo ancora ai vertici» dice Antonetti. «Anzi, secondo il Global Innovation Index, l’indice più importante che determina il grado di innovazione di un Paese, siamo al 29° posto L’humus è buono, ma manca ancora una cultura diffusa di innovazione, c’è una bassa concentrazione di investitori venture, poca attrattività per gli investitori internazionali. La nostra storia ce la stiamo costruendo adesso, puntando su Torino come piazza della smart city, su Firenze come centro del lifestyle e del fashion, sul Sud Italia per l’agritech». E le realtà come Torino Cities of the Future Accelerator lo dimostrano. Ci stiamo costruendo la nostra storia smart.

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