Culture

L’arte all’Inferno

Per la prima volta un documentario, Disegni dall’Olocausto di Massimo Vincenzi, racconta le oltre 30.000 opere realizzate nei ghetti e nei lager nazisti, create e nascoste a rischio della vita
Tempo di lettura 5 min lettura
27 gennaio 2023 Aggiornato alle 13:00

«Uno sciame di SS e di cani ci circonda, ci avvolge. I cani ringhiano, abbaiano, i loro occhi scintillano sotto le luci dei riflettori mentre mordono a sangue le nostre carni. I loro padroni sono anche peggiori: gesticolano, corrono, saltano, ci colpiscono. I loro ordini urlati come suoni gutturali volano come proiettili». Si apre così, su note di archi incalzanti Disegni dall’Olocausto, scritto e diretto da Massimo Vincenzi. Questa è la prima testimonianza - quella di Pierre Mania, artista internato a Buchenwald - e di cui vediamo un disegno, “Arrivo al campo”, che trasmette tutto il terrore dei deportati.

Non si conosce mai abbastanza ciò che è avvenuto durante nazismo e fascismo. Ogni vicenda personale va a comporre un puzzle che deve servire a documentare ciò che è stato e a farlo conoscere soprattutto alle giovani generazioni e a ricordarlo a chi ci governa, affinché non avvenga più. Abbiamo nella nostra memoria foto, scene di film, documenti d’archivio, parole di chi è sopravvissuto, ma in pochi sanno che sia stata praticata l’arte anche all’interno dei campi di concentramento.

Per la prima volta questo documentario sceglie di porre un faro su questa forma espressiva e di ‘urlo’. Dai campi di concentramento e dai ghetti ci sono arrivati ben 30.000 disegni, realizzati tra il 1939 e il 1945, recuperati dalle intercapedini dei muri, nascosti sotto le assi del pavimento o addirittura occultati nei cimiteri, e tornati alla luce dopo la Liberazione.

«Uno dei motivi che più mi ha spinto a realizzare questo documentario» - spiega Vincenzi - «risiede nella forza a volte esplicita e a volte evocativa dei disegni realizzati dagli internati nei campi nazisti. Il loro bisogno insopprimibile di manifestare il proprio orrore nei confronti dell’Olocausto in atto supera la propria paura di essere condotti a morte per aver realizzato un disegno illegale. E questo coraggio si ritrova in ognuno dei campi di concentramento o ghetto in cui si veniva reclusi. Con ogni mezzo, a ogni costo, l’importante era denunciare: da soli, al buio, con mezzi poverissimi, con la sola flebile speranza di un futuro diverso a illuminare le loro vite. Il documentario vuole essere anche un omaggio alla loro eroicità, al dolore e al sacrificio che hanno dovuto sopportare».

Lo affermiamo col massimo rispetto e pudore: quest’opera scorre velocemente durante la visione perché coinvolge molto sia sul piano emotivo – il disegno comunica ancor prima delle parole – sia perché ci fa scoprire come l’Arte sia stata utilizzata per sopravvivere, denunciare – anche ‘rischiando’ sul piano satirico – e lasciare un segno per chi sarebbe venuto. Il tutto a costo della propria vita. Sì perché matite e colori non erano affatto semplici da reperire.

Gli esseri umani – e non i numeri – rinchiusi nei lager sono arrivati a raschiare la vernice dalle pareti per recuperare il pigmento; senza contare quando hanno adoperato fogli contenenti «vecchie circolari delle SS e bersagli pieni di fori usati nelle esercitazioni al tiro. Questa carta ci veniva data non per soddisfare i nostri bisogni culturali, ma piuttosto per i bisogni corporali di migliaia di uomini» (dalla testimonianza di Boris Taslitzky).

Questo lavoro è la storia di chi ha avuto il coraggio di attestare i crimini commessi dal regime nazista: artisti di tutta Europa, tra i quali Bronislaw Czech (1908-1944 internato ad Auschwitz), Leon Delarbre (1889-1974, internato ad Auschwitz), Peter Edel (1921-1983, internato ad Auschwitz, Sachsenhausen e Mauthausen), insieme a persone senza particolari doti artistiche. Stupisce scoprire anche donne – ne citiamo una, Zofia Stępień-Bator (pittrice polacca, prigioniera del campo di concentramento tedesco Auschwitz-Birkenau), le altre ci auguriamo che le conoscerete guardando e com-partecipando.

Immagini che vengono raccontate tutte insieme per la prima volta, come un unico museo dell’orrore (da brividi, tra gli altri, quello che sembra una serie di punti e strisce in un disegno essenziale di Jozée Szaijna, di cui si scopre che la testa di ciascuna figura era l’impronta digitale della persona stessa). Tra gli elementi di novità del documentario c’è anche il racconto della storia del Lagermuseum di Auschwitz, un piccolo museo che il direttore del campo Rudolph Hoss usò come strumento di propaganda per coprire le condizioni inumane degli internati durante le visite degli ispettori della Croce Rossa Internazionale. Attrezzato nella baracca 24, divenne per due anni un punto di riferimento per molti artisti del campo ai quali le SS commissionavano lavori da presentare ai dignitari del Reich durante le visite ufficiali al campo, ma anche un luogo dove gli internati ebbero accesso al materiale di disegno con facilità per produrre in segreto disegni illegali, quelli che raccontavano la loro realtà e che ancora oggi la gridano con la stessa disperazione.

Disegni dall’Olocausto (prodotto da Light History) è in programmazione, in prima tv assoluta, su History Channel (411 di Sky) in occasione della Giornata della Memoria, venerdì 27 gennaio alle 21.50.

Leggi anche
Giornata della Memoria
di Costanza Giannelli 4 min lettura