Economia

Sempre meno le famiglie che riescono a risparmiare

Lo segnala l’VIII Rapporto Consob, che ha rilevato anche una scarsa fiducia nel sistema finanziario e una profonda disparità di genere: in famiglia, a prendere decisioni è soprattutto l’uomo
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26 gennaio 2023 Aggiornato alle 19:00

Il 26 gennaio 2023 è stato presentato l’VIII Rapporto Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa) sulle scelte di investimento delle famiglie italiane.

Prima della presentazione, è intervenuto Paolo Savona, Presidente della Consob, il quale ha voluto sottolineare che il risparmio e le esportazioni hanno retto al peso delle vicende avverse, ovvero inflazione e guerra in Ucraina, anche se le norme ostacolano fortemente il risparmio. Non c’è stato alcun progresso, anzi, sono aumentate ancor di più le discriminazioni.

Il Rapporto presenta sin da subito una novità relativa al campione: 1.436 sono gli investitori presi come riferimento e sono coloro che guadagnano di più e prendono le decisioni finanziarie all’interno della famiglia (l’80% sono uomini). A questi sono stati aggiunti più di 400 partner dei capifamiglia e più di 240 familiari che dichiarano di avere un ruolo attivo nelle decisioni finanziarie.

Andando nel dettaglio, è stata calcolata una diminuzione della percentuale di investitori che dichiarano di risparmiare (36% nel 2022 contro il 46% del 2021), e un aumento della percentuale di coloro che ritengono di poter risparmiare in maniera saltuaria (44% nel 2022, 37% nel 2021). Al tempo stesso è cresciuta anche la quota di coloro che dicono di non poter risparmiare nulla, dall’11% del 2021 si è arrivati al 14% del 2022.

Sono stati presi come riferimento 4 indicatori sintetici: money attitude, che consiste nella capacità di gestire il denaro; saver at risk, vulnerabilità finanziaria; sawy saver, che corrisponde alla capacità di risparmio, e sawy investor, la capacità all’investimento. Questi indicatori sono stati messi su una scala da 1 a 10 e sono stati confrontati con i dati dell’anno precedente: se nel 2021 i primi due indicatori sono rimasti pressoché stabili, si è registrata una certa instabilità nella capacità di investimento.

Quali sono i motivi principali di questa instabilità? Il 69% degli investitori dichiara di essere avverso al rischio e di non essere disposto ad affrontare delle perdite, mentre il 65% dichiara di essere tollerante alle perdite, ma solo se quest’ultime sono di breve periodo. Si è registrata una crescita rispetto al 2019 di coloro che sono inclini all’ansia finanziaria (36%), mentre è in calo la percentuale di coloro che ritengono di essere in grado di gestire le proprie finanze.

Quali sono le cause, secondo gli investitori, della complessità della gestione delle finanze personali? Sicuramente il periodo storico di riferimento (24%), l’inflazione (21%), l’inadeguatezza delle proprie conoscenze finanziarie (19%) e quindi il conseguente rischio di truffa (17%), e infine la sfiducia nel sistema finanziario (17%). Per il 20% la gestione del denaro non è complicata, in particolare per gli uomini più anziani, che risultano essere meno inclini all’ansia finanziaria.

Per quanto riguarda le conoscenze finanziarie di base, sono state sottoposte al campione delle domande: la percentuale di risposte corrette in media è del 63%, che scende al 56% togliendo le risposte casuali, non c’è dunque un livello di conoscenza molto elevato. Riguardo le domande sull’inflazione, la situazione sembra migliorare, la percentuale di risposte corrette in media è del 65%, ma questa sale negli uomini anziani, negli abitanti del Nord Italia, in coloro che hanno un’istruzione più elevata e negli appartenenti ai ceti abbienti.

Vediamo nel dettaglio gli stili di investimento: il più diffuso è sicuramente quello della consulenza informale, che avviene tramite amici e parenti, che attualmente ha una percentuale del 45% (+8% rispetto al 2021); per il 24% l’investimento avviene in autonomia (-7% rispetto al 2021). Per il 26% invece avviene tramite la consulenza (-2%), ancora scarsamente diffusa.

Perché? Prima di tutto, perché si investono piccole somme, poi abbiamo i costi elevati, l’investimento tramite strumenti semplici che non richiedono la consulenza di un professionista, e infine la mancanza di fiducia nel sistema finanziario e nella figura del consulente.

Sulla figura del consulente, inoltre, non c’è molta informazione: solo il 39% sa che il professionista è iscritto all’albo unico dei professionisti, solo il 35% sa che la consulenza è un servizio a pagamento e il 57% non è disposto a pagare.

Il Rapporto ha poi evidenziato una chiara differenza tra gli investitori: vi sono i cosiddetti “nuovi” investitori che sono entrati nel settore dopo il Covid, e che hanno dunque un’esperienza di massimo 3 anni. In questa categoria sono molto presenti i giovani tra i 18 e i 44 anni, hanno delle conoscenze finanziarie di base limitate rispetto ai vecchi investitori (39% contro 53%), ricorrono meno alla consulenza e, infine, sono più avversi al rischio.

Ciò che è stato notato, è un maggiore interesse verso l’educazione finanziaria. Il 66% è disposto ad apprendere, un incremento del 22% rispetto al 2021. Ma come alzare il livello di cultura finanziaria? Il 30% indica l’interesse personale, mentre solo l’11% indica il proprio percorso di studi oppure la famiglia. Proprio su quest’ultimo punto è necessario agire.

Riccardo De Lisa, professore dell’Università di Cagliari, riporta che attualmente il 50% delle famiglie italiane non riesce a risparmiare, per differenti questioni (Istat). L’educazione finanziaria, dunque, deve essere orientata al risparmio, e il focus deve essere la famiglia, dove si deve stare attenti alle spese, e gestire al meglio tutti i flussi finanziari. È fondamentale parlare di risparmio ai figli, ma soprattutto alle figlie per il gender gap evidenziato nel Rapporto.

La conoscenza deve partire dalla scuola e dalla famiglia e poi arrivare all’intermediario finanziario. Quindi, parlare con i propri figli il più possibile di soldi in modo tale che i bambini apprendano e comprendano il valore del denaro.

E le donne? Come evidenziato dal Rapporto, con il campione esteso, le donne presentano un gap in termini di conoscenza, di attitudine, sono meno interessate alle criptovalute, sono più avverse al rischio e alle perdite e hanno una maggiore tendenza a rivolgersi alla consulenza finanziaria. Ma questi dubbi, incertezze e disparità spariscono quando le donne diventano decisori principali (e sono veramente poche); in quel caso sono state riscontrate le stesse conoscenze degli uomini.

In conclusione, sono tre i punti fondamentali su cui agire: incoraggiare al risparmio e sensibilizzare le famiglie a continuare a risparmiare; incrementare l’educazione finanziaria a partire dalla scuola e dalla famiglia; considerare gli intermediari finanziari come figure fondamentali, ma fare in modo che ci sia vicinanza col cliente, attraverso un linguaggio chiaro e semplice.

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