Diritti

Il cachet batte l’attivismo (ma non dovremmo stupirci)

Beyoncé si è esibita a un evento privato a Dubai per una cifra stratosferica - 24 milioni di dollari - evitando però di cantare canzoni pro Lgbtq+. Scatenando non poche polemiche
Credit: Bloomberg
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
27 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Eventi privati o aziendali is the new grande concerto. Se un tempo le star della musica sognavano i mega show e snobbavano quelli piccoli, negli ultimi anni - complice anche la crisi discografica che fa incassare sempre meno dalla vendita di un album - la tendenza è quella di esibirsi per pochi intimi e farsi pagare cifre astronomiche.

È quello che ha fatto Beyoncé, che dopo 5 anni lontana dal palcoscenico si è concessa a un pubblico ristrettissimo, in occasione della festa d’apertura del resort extra lusso Atlantis di Dubai.

Nella sua performance da 65 minuti ha cantato 11 canzoni, di cui una insieme alla figlia Blue Evy, per la modica cifra di 24 milioni di dollari: circa 330.000 euro al minuto. Un ritorno in grande stile, non c’è che dire, se non fosse per un dettaglio tutt’altro che trascurabile: la location.

Dubai infatti non è certo nota per la sua politica di inclusione ma, al contrario, applica regole molto rigide contro le donne e soprattutto la comunità Lgbtq+. Secondo quanto prescritto dalla legge islamica, l’omosessualità nel paradiso mediorientale - meta ogni anno delle vacanze di una buona parte dello star system - è ancora punita con il carcere.

Proprio per questo la scelta di Beyoncé ha generato non poche polemiche. Evitando l’ipocrisia, non si può negare che, se a ognuno di noi venisse offerta quella cifra per esibirsi poco più di un’ora, tutti o quasi accetteremmo. Forse con titubanza o accompagnati da leggeri sensi di colpa o da una vocina nella coscienza che ci ricorda che i principi varrebbero più del denaro, ma accetteremmo. E biasimarci sarebbe difficile.

Questo però non vale per chi ha un potere economico enormemente superiore alla media e un’esposizione mediatica tale da poter influenzare le coscienze e incidere davvero sui cambiamenti globali.

Se Beyoncé avesse declinato l’invito, i diritti umani a Dubai non sarebbero avanzati di un millimetro ma si sarebbe trattato di un segnale importante, del quale indubbiamente si sarebbe parlato.

Invece la star ha imboccato la strada opposta e non ha esitato a fare cassa assecondando ogni volere degli organizzatori dell’evento, il gruppo Istithmar World proprietario del resort, che fa capo direttamente al Governo degli Emirati.

Nonostante si sia trattato di un evento privato e blindatissimo qualcosa è infatti emerso e a saltare all’occhio - oltre agli abiti mozzafiato - è stata la scaletta. Ovviamente presenti hit come Crazy in love, Beautiful liar e Naughty girl ma non pervenute le canzoni dell’ultimo album, Renaissance.

Una scelta più che mai curiosa per una lavoro uscito solo la scorsa estate e quindi ancora in parte in fase di promozione, ma certamente non lasciata al caso visto che la stessa Beyoncé, da sempre grande sostenitrice della comunità Lgbtq+, l’aveva dedicato espressamente agli artisti neri gay pionieri della disco music.

Verrebbe quasi da chiamarlo un attivismo a convenienza il suo, sventolato per lanciare un nuovo disco ma nascosto in fretta e furia se l’assegno a infiniti zeri da agguantare proviene dalle mani di chi non la pensa esattamente allo stesso modo.

Non è la prima volta in realtà che Queen B - come la chiamano i suoi fan - si esibisce negli Emirati Arabi Uniti: nel 2009 lo fece ad Abu Dhabi e come lei tanti altri negli anni ma se allora le polemiche furono minori o forse addirittura assenti è per causa di una sensibilità al tema distante anni luce da quella odierna.

Oggi scindere il professionista dalla persona è quasi impossibile e per non essere il bersaglio della shit storm del giorno o rischiare di vedere la propria carriera incrinarsi è saggio non limitarsi a fare scelte musicalmente azzeccate, ma anche eticamente corrette.

Non è un caso che qualcuno dica no: Pearl Jam e Nicki Minaj, solo per citare un paio di big che si sono rifiutati di esibirsi negli Emirati Arabi proprio per protestate contro la loro mancata difesa dei diritti umani, o Dua Lipa e Rod Stewart che hanno rispedito al mittente l’invito a esibirsi nel corso degli ultimi Mondiali in Qatar, altro fronte caldo.

Una rivoluzione ancora per pochi però dato che solo negli ultimi mesi, oltre ai campionati del mondo di calcio, è toccato parlare di Cristiano Ronaldo ingaggiato dalla squadra saudita Al-Nassr per 200 milioni di euro all’anno - che pare non potrà vivere nella stessa casa della compagna Georgina Rodriguez perché la convivenza fuori dal matrimonio è vietata - e della Super Coppa Italiana tra Inter e Milan giocata a Riad, in Arabia Saudita.

I soldi degli Emiri dunque fanno gola a tanti e poco importa se, ai piedi di hotel extra lusso che trasudano sfarzo e opulenza, 2 ragazzi vengono condannati a morte se scoperti a baciarsi per strada o a farsi una carezza. Ricchezza batte amore. È lo show business baby.

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