Futuro

Google sa sempre dove sei

Texas, Washington e Indiana citano in giudizio la Big Tech per violazione della privacy. Anche se disattivata, la geolocalizzazione ti “spia„
3 stati Usa hanno citato Google per pratiche ingannevoli
3 stati Usa hanno citato Google per pratiche ingannevoli
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
25 gennaio 2022 Aggiornato alle 17:25

Guai in vista per Google, di nuovo. Il Texas, lo Stato di Washington e l’Indiana hanno intentato una causa contro la Big Tech in merito alla geolocalizzazione degli utenti. L’accusa mossa è che la multinazionale della Silicon Valley continui a tracciare le loro posizioni anche quando l’opzione che dovrebbe impedire la raccolta dei dati sulla geolocalizzazione è stata attivata. A ben vedere, non è la prima volta. Nel maggio 2020, altri 36 Stati hanno trascinato in tribunale il colosso informatico per le presunte pratiche anticoncorrenziali relative al suo app store Google Play.

Lunedì, il Texas e il Distretto di Columbia hanno citato in giudizio Google di Alphabet Inc per quelle che hanno definito pratiche di localizzazione ingannevoli e invasive rispetto alla privacy degli utenti americani. «La verità è che, contrariamente a quanto dichiarato, Google continua a controllare sistematicamente i suoi clienti e a trarre profitto dai loro dati». Sebbene, infatti, disponga di un’impostazione chiamata “Cronologia delle posizioni” che, se disattivata, evita che gli spostamenti dell’utente vengano memorizzati, ci sono altri metodi e strumenti, non segnalati adeguatamente, con cui continuare a tracciarne i movimenti.

Il portavoce di Google, Jose Castaneda, ha ribattuto, invece, che «i procuratori generali stanno montando un caso basandosi su affermazioni imprecise e considerazioni obsolete rispetto alle nostre impostazioni. Abbiamo sempre integrato funzionalità di privacy nei nostri prodotti e fornito solidi controlli per i dati sulla posizione. Ci difenderemo con forza e chiariremo la questione».

Già nel 2018 un’esclusiva dell’Associated Press, confermata anche dai ricercatori informatici di Princeton, denunciava le numerose ingerenze del gigante tecnologico. Molti servizi Google su dispositivi Android e iPhone memorizzano i dati relativi alla posizione geografica anche se viene attivata un’impostazione sulla privacy specifica. Solitamente, infatti, Google richiede in anticipo il permesso di utilizzare le informazioni sulla localizzazione. a esempio, Maps ricorda ogni volta di consentire l’accesso alla posizione per avviare la navigazione. Compiendo spesso quest’operazione, il sistema sarà in grado di elaborare una sorta di “linea temporale” che mappa i movimenti giornalieri dell’utente. La memorizzazione degli spostamenti comporta ovviamente anche dei vantaggi: le forze dell’ordine possono risalire molto più facilmente agli spostamenti di soggetti sospettati di reati.

Disattivando solo la “Cronologia delle posizioni” non si argina il problema. Alcune applicazioni del colosso digitale archiviano automaticamente i dati inerenti la posizione. Per dire, gli aggiornamenti meteorologici giornalieri sui telefoni Android sono automatici e indicano all’incirca dove il soggetto si trovi. E alcune ricerche che non hanno nulla a che fare con la posizione, dai dolci ai giocattoli dei bambini, individuano la latitudine e longitudine esatte e le salvano sull’account Google personale. È una questione che impatta su oltre due miliardi di utenti, ma non solo. Incide anche su aziende strutturate, sottoposte a un controllo crescente della loro attività. Qual è l’obiettivo? Sembrerebbe quello di aumentare gli inserti pubblicitari. Le informazioni vengono costruite sulla base dei dati. E più dati equivalgono a più profitti.

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