Ambiente

Il cambiamento climatico minaccia il futuro delle lingue

Secondo i linguisti, entro la fine del secolo la crisi climatica potrebbe essere la causa della perdita di metà delle 7.000 lingue parlate
Credit: Bernard Kalu
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29 gennaio 2023 Aggiornato alle 12:00

«Le lingue sono già vulnerabili e in pericolo», afferma Anastasia Riehl, direttrice della Strathy Language Unit della Queen’s University di Kingston, Ontario.

I fattori determinanti di questa progressiva perdita sono la globalizzazione e la migrazione, con il trasferimento delle comunità in regioni in cui la loro lingua non è parlata o valorizzata.

I popoli che parlano lingue minoritarie hanno alle spalle una lunga storia di persecuzioni, con il risultato che negli anni ‘20 la metà di tutte le lingue indigene in Australia, Stati Uniti, Sudafrica e Argentina erano già estinte.

Siamo a conoscenza della depredazione del territorio, della riduzione in schiavitù di questi popoli, ma ora la minaccia principale è la crisi climatica; «sembra particolarmente crudele - afferma la ricercatrice - che la maggior parte delle lingue del mondo si trovi in parti del mondo sempre più inospitali per le persone».

Sebbene gli effetti del riscaldamento globale sulla lingua non siano stati ancora approfonditi, sappiamo che il degrado ambientale è causa dell’aumento delle ondate di calore, della siccità, delle inondazioni e dell’innalzamento del livello del mare; tutti elementi che hanno già esposto milioni di persone all’insicurezza alimentare, alla scarsità d’acqua e le hanno allontanate dalle loro case.

I disastri, la maggior parte dei quali legati alle condizioni meteorologiche, hanno causato 23,7 milioni di sfollati interni nel 2021, rispetto ai 18,8 milioni del 2018. Negli ultimi 10 anni, l’Asia e il Pacifico sono state le regioni più colpite dagli sfollati a livello mondiale, con gli Stati insulari del Pacifico che sono stati i peggiori per numero di abitanti.

Un esempio allarmante di questa perdita è Vanuatu, un’isola del Pacifico meridionale che ha 110 lingue, la più alta densità di lingue del pianeta ed è anche uno dei Paesi più a rischio di innalzamento del livello del mare.

Come molte altre piccole comunità linguistiche si trovano su isole e coste vulnerabili agli uragani e alle catastrofi ambientali. Altre vivono in terre dove l’innalzamento della temperatura minaccia le pratiche agricole e di pesca tradizionali, spingendo quindi alla migrazione.

«Quando il cambiamento climatico arriva, sconvolge ancora di più le comunità», afferma Riehl. La minaccia del cambiamento climatico tende a far disperdere le comunità in luoghi in cui la loro lingua non è compresa o valorizzata, innescando un processo irreversibile verso la scomparsa di quella lingua.

La comunità internazionale, in risposta alla crisi, ha lanciato il Decennio internazionale delle lingue indigene, con l’obiettivo di preservare le lingue delle comunità indigene, non solo per quei popoli ma per l’importanza che le lingue hanno nell’umanità. Il presidente dell’Assemblea Generale si è impegnato a promuovere l’insegnamento e la conservazione delle lingue indigene, considerato che «con ogni lingua indigena che si estingue, se ne va anche il pensiero, la cultura, la tradizione e la conoscenza che porta con sé».

Il dottor Gregory Anderson è direttore del Living Tongues Institute for Endangered Languages, un’organizzazione no-profit con sede negli Stati Uniti che documenta e registra le lingue in pericolo; ha osservato che la morte di una lingua, quando l’ultimo parlante fluente muore, è spesso il risultato di “una sorta di aggressione” alle comunità indigene. La perdita linguistica causata dalle migrazioni forzate può essere assimilata a quando i bambini indigeni sono stati costretti a entrare in collegio e a non parlare la loro lingua madre in Paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia.

Fortunatamente ci sono anche alcuni esempi positivi: come la Nuova Zelanda e le Hawaii, dove le lingue indigene sono state resuscitate. Negli anni ‘70 erano rimasti solo 2.000 parlanti nativi dell’hawaiano, la maggior parte dei quali nel settimo decennio di vita, ma i sostenitori hanno lanciato le “scuole di immersione”, dove i bambini vengono istruiti in hawaiano. Oggi più di 18.700 persone lo parlano.

La professoressa Rawinia Higgins, membro della Taskforce globale per il Decennio internazionale delle lingue indigene e commissaria per la lingua Māori della Nuova Zelanda, ha dichiarato che «le lingue indigene sono un’ancora per il passato, oltre che una bussola per il futuro. Trentacinque anni fa, le persone hanno lottato per salvare la lingua Māori e il governo di allora l’ha resa una lingua ufficiale protetta dalla legge».

Qualsiasi lingua andrebbe preservata perché è un modo di descrivere la realtà a cui si appartiene, serve a esprimere alcuni concetti o immagini di un determinato territorio e gli stati d’animo dei popoli che lo abitano.

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