Economia

2023: l’anno della resilienza economica e del commercio mondiale

A Davos, i leader riuniti al World Economic Forum chiudono con parole fiduciose. I problemi sembrano essere stati sovrastimati e la deglobalizzazione non appare più così vicina
Gita Gopinath
Gita Gopinath Credit: Liu Jie/Xinhua via ZUMA Wire
Tempo di lettura 7 min lettura
24 gennaio 2023 Aggiornato alle 15:00

Le prime due settimane del 2023 regalano un nuovo ottimismo per l’economia globale: Gita Gopinath, Capo economista del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), ha ricordato a Davos, durante il World Economic Forum che miglioreranno le stime economiche del fondo stesso.

Per il 2023 è adesso atteso un miglioramento dalla seconda metà dell’anno, che durerà anche fino all’inizio del 2024.

La realtà in cui viviamo non è certo cambiata, ma ci sono dei segnali positivi, evidenzia Gopinath: «C’è un’inflazione ancora alta nel mondo, anche se sta cominciando a scendere. C’è ancora una guerra con le sue ripercussioni e abbiamo shock persistenti dalla pandemia in certe parti del globo, ma dall’altra parte ci sono segnali di resilienza come un mercato del lavoro forte anche negli Usa e nell’Ue, con i consumi che tengono». Rimane però centrale l’importanza di politiche monetarie restrittive per riuscire ad abbassare l’inflazione e al tempo stesso di aiuti a sostegno delle persone più vulnerabili.

A farle eco Daniel Pinto, Direttore operativo della JP Morgan Investment Banking che afferma: «Abbiamo attraversato una guerra, una pandemia e la più grande normalizzazione di politica monetaria della storia. Considerando tutto questo il mondo è molto meglio di quanto ci si possa aspettare». E continua sottolineando che quella che stiamo attraversando non può essere definita una “crisi economica”, o quantomeno non come quella del 2008. L’economia è un circolo che per sua natura attraversa periodi di rallentamento e, conseguentemente, anche di recessione. È la normalità, continua Pinto, e non bisogna preoccuparsi, soprattutto se si considera che le aziende sono in buono stato e i consumi resistono.

In ogni caso, la temuta recessione potrebbe essere evitata dalla Germania che, come sottolinea ai microfoni di Bloomberg, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, attraverserà il 2023 ed entrerà nel 2024 con grande forza.

Le aspettative migliorano anche per la Cina: a Davos il Vice Primo Ministro Liu-He invita i leader internazionali nella propria madre patria, dove cambiano le regole per il contenimento del Covid-19.

Ad oggi è sufficiente un test negativo 48 ore prima per chi arriva dall’estero, cancellando così la quarantena precedentemente obbligatoria.

Liu-He dichiara forte l’economia cinese, afferma che il Paese è capace di tenere testa alle difficoltà e pronto a lavorare duramente per garantire un ritorno ai trend normali e a un miglioramento delle stime previste per il 2023.

Anche Usa e Unione europea si muovono verso investimenti strategici. Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti, ha introdotto alla fine del 2022 l’Inflation Reduction Act che prevede numerosi incentivi alle imprese al fine di aumentare gli investimenti nel territorio statunitense, oltre a sussidi alle famiglie per spingerle ad acquistare prodotti nazionali.

Delle agevolazioni che Mark Hutchinson, Capo Esecutivo della Fortescue Future Industries, definisce enormi: «Al punto da spingerti a investire ogni dollaro a tua disposizione». Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, dal palco di Davos ha annunciato: «Dobbiamo essere competitivi con le offerte e gli incentivi che sono disponibili all’esterno dell’Unione europea».

Riferimento neanche troppo velato all’ Inflaction Reduction Act, al quale l’Europa si prepara a rispondere: «Dobbiamo realizzare la transizione verso le emissioni zero senza creare nuove dipendenze e per farlo abbiamo un piano. Un piano industriale per il Green Deal».

Le norme sugli aiuti di Stato verranno temporaneamente adeguate e semplificate per evitare la frammentazione del Mercato unico «è necessario aumentare i finanziamenti Ue e per il medio termine preparare un Fondo sovrano europeo nella revisione di medio-termine del nostro bilancio nel 2023», continua von der Leyen. E ricorda come l’Unione europea sia stata la più veloce nel contenimento dei prezzi dell’energia, un successo riconosciuto da Fatih Birol, Direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, ma che evidenzia l’improrogabilità delle fonti rinnovabili definite come la vera sicurezza energetica.

Il World Economic Forum si converte in segnali di speranza, ma anche di forte decisione da parte dei leader mondiali. Il loro ottimismo, la riapertura dei confini cinesi, i nuovi investimenti sostenibili abbracciati prima dagli Usa e presto anche dall’Ue incoraggiano i mercati.

Su questa scia si rivedono anche le pesanti affermazioni che vedevano la fine del capitalismo, della globalizzazione e degli scambi internazionali. Sicuramente, rispetto a cinquant’anni fa qualcosa è cambiato, ma cosa? L’incontro a Davos di questi giorni identifica ancora una centralità dei rapporti internazionali e, soprattutto, le opportunità globali dell’economia.

Al di fuori dei confini nazionali ci sono mercati da servire, risorse da sfruttare e opportunità da cogliere, una differenza però è presente.

Il Financial Times descrive lo spostamento come un passaggio di mentalità passando da “cane mangia cane” a “cane si fida di un altro cane”.

Il mondo di oggi è venuto a conoscenza della vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, della possibilità per un Paese di perdere la propria supremazia tecnologica, ma anche della possibilità di veder minacciata la propria sussistenza economica, il proprio potere politico, nonché l’intera esistenza della propria nazione.

Nel report Global flows: The ties that bind in an interconnected world pubblicato da McKinsey Global Institute viene definita l’idea di deglobalizzazione come una mera speculazione, questo anche perché nessun Paese è autosufficiente e importa almeno il 25% di risorse o prodotti manifatturieri fondamentali.

L’Europa, a esempio, importa almeno il 50% dell’energia di cui ha bisogno. E tra i principali esportatori, almeno fino all’inizio della guerra, c’era la Russia. Una realtà della quale, ormai, conosciamo perfettamente gli effetti.

Al tempo stesso, l’Europa dipende dall’area asiatica per le materie prime del settore farmaceutico, del quale è anche un’importante esportatrice. E ancora, litio, terre rare e grafite sono estratti da meno di tre Paesi nell’Area Cinese, i chip per computer più sofisticati vengono da Taiwan.

Questo ci dimostra la connessione tra le varie economie nazionali, una connessione che secondo il McKinsey Global Insititute non può essere sradicata, ma che sicuramente sta attraversando un forte cambiamento.

I flussi globali vedono un ruolo sempre più centrale di beni immateriali, servizi e capacità umane. Altrettanto vero è che la storia ci insegna come le guerre e le follie umane possano distruggere tutto, globalizzazione compresa.

Tra il 1914 e il 1945 il capitalismo globalizzato si è pressoché azzerato, ma al di fuori di questi limiti l’economia globale continua a fornire delle opportunità, seppur sotto nuove vesti. In fin dei conti un allontanamento economico e politico potrebbe essere poco conveniente: per un Paese diversificare l’offerta interna di prodotti e servizi è, certamente, un bene ma non si possono ignorare i limiti di costo, così come allacciare rapporti con un numero ristretto di Paesi è rischioso. Per questo un’economia globale potrebbe risultare vincente.

Usa e Europa non possono rinunciare all’ amicizia che li lega e neanche all’area Asiatica con la sua crescente centralità.

Non ci resta che vedere cosa realmente accadrà in questo 2023: le nuove affermazioni di speranza riusciranno a trovare un terreno fertile nelle difficoltà attuali? E che volto assumeranno capitalismo e commercio internazionale?

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