Diritti

Donne, mediatrici di pace sotto attacco

Fondamentali nella prevenzione dei conflitti, sono vittime di agguati e discriminazioni: 35 le attiviste che hanno perso la vita nel 2020
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25 gennaio 2022 Aggiornato alle 09:00

«Tra il 1992 e il 2019 solo il 13% dei negoziatori, il 6% dei mediatori e il 6% dei firmatari nei principali processi di pace in tutto il mondo erano donne». Sono i dati che Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite, ha comunicato pochi giorni fa al Consiglio di sicurezza. Numeri che raccontano un puzzle ancora tutto da riempire: troppe le tessere mancanti di voci inascoltate e troppe zone grigie mal celano abusi e violenze. Uno scenario che desta preoccupazioni e sembra essere peggiorato con la pandemia, quando «un’ondata di conflitti sempre più intensi, transizioni politiche non democratiche e disastrose crisi umanitarie ha preso piede in molte società, riducendo ulteriormente i diritti delle donne».

Tutto questo nonostante da più di 20 anni (il 31 ottobre 2000) sia stata approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 1325, che ha tra i suoi obiettivi riconoscere il ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti. Ancora oggi troppo spesso la violenza sulla donne e la violenza sessuale sono usate come arma di guerra.

Solo nel 2020 in 7 Paesi colpiti dal conflitto in cui è stato possibile recuperare i dati, l’ufficio della Bachelet ha registrato ben 35 omicidi di donne difensori dei diritti umani, giornaliste e sindacaliste. Continui gli attacchi contro le donne che si occupano di uguaglianza di genere, salute e diritti sessuali e riproduttivi, corruzione, diritti del lavoro e questioni ambientali e territoriali, comprese le intimidazioni nei confronti di persone che cooperano con l’ONU.

Tre esempi in particolare: Afghanistan, regione del Sahel in Africa e Myanmar. In Afghanistan, un disastro umanitario di proporzioni senza precedenti, le donne che si battono per i diritti sono costrette a nascondersi o a fuggire, molte sono rimaste senza reddito e in assoluto sono state escluse da ogni potere decisionale. Nella regione del Sahel, che la Bachelet ha recentemente visitato, gli attacchi dei gruppi armati aumentano la minaccia di violenze sulle donne e la chiusura delle scuole, in particolare per le ragazze. In Myanmar, le donne sono state in prima linea nella resistenza contro il governo militare, ma molte di loro sono state prese di mira per aggressioni e detenzioni arbitrarie.

«È fondamentale che la comunità internazionale resti unita» ha sottolineato la Bachelet «e che respinga i tentativi di attaccare, mettere a tacere e criminalizzare i diritti delle donne». E allo stesso tempo è sempre più urgente garantire protezione e sostegno alle organizzazioni in cui lavorano le mediatrici. Le donne sono fondamentali per «garantire una più ampia gamma di azioni per unire la società. Le decisioni sulla pace che non riflettono le voci, le realtà e i diritti femminili non sono sostenibili».

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