Diritti

La scelta di Jacinda Ardern, e la ricerca dell’autenticità

Se fosse stato un uomo non avrebbe detto «sono un essere umano». Ma è proprio in questo nuovo modo di porsi - essere vere - la forza delle leader di oggi
La prima ministra neozelandese Jacinda Ardern osserva un minuto di silenzio per le vittime della tragedia della White Island, il 16 dicembre 2019
La prima ministra neozelandese Jacinda Ardern osserva un minuto di silenzio per le vittime della tragedia della White Island, il 16 dicembre 2019 Credit: EPA/HAGEN HOPKINS / POOL
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 3 min lettura
19 gennaio 2023 Aggiornato alle 12:10

Non avrebbe dovuto rivolgersi alla figlia, Neve, affermando che «la mamma sarà accanto a te quando comincerai la scuola quest’anno». Non avrebbe dovuto dire al marito: «ora sposiamoci». Non avrebbe dovuto ammettere: «sono un essere umano». Non avrebbe dovuto perché chi ricopre un alto incarico istituzionale e decide di dare le dimissioni di solito non si mette così a nudo. Avrebbe solo dovuto dire: «lascio», e darsi una seconda chance appena si fosse ripresa.

Se fosse stato un uomo, avrebbe parlato di “motivi personali” o “motivi di salute” o decisione presa in accordo con il partito. Invece, ha deciso di argomentare di una vacanza che non è stata sufficiente a ricaricare le energie. Ha aperto il libro della sua esistenza per spiegare in modo coerente, trasparente e onesto il motivo per il quale abbandona - senza preavviso, senza preparazione, senza pelle - il Governo del suo popolo e della sua terra.

Certe volte lasciare è il miglior modo di rimanere. Ma soprattutto, certe volte, essere sinceri è la migliore arma nei confronti di tutti i detrattori, e la migliore carta da giocare al poker della politica. Abbassare la maschera non è sinonimo di debolezza: è il segno di forza più plateale che una leader del 2023 possa svelare.

Abbassare la maschera e ammettere una mancanza, spiegare una difficoltà. Chi non ha difetti scagli la prima pietra. E in Nuova Zelanda così come sarebbe successo nel Belpaese gli avversari ora la lapideranno, additandola come “casalinga disperata”, “donna incapace del multitasking”, “politica incapace di interpretare un ruolo”, e ancora, diranno, deboli, le donne, incapaci di reggere il peso psicologico di una scommessa, una mamma incompresa, una politica dimezzata, perché le donne non ce la fanno a indossare l’anello del potere e a realizzarsi all’interno di una famiglia. E invece no, e invece non è vero proprio e abbiamo la testimonianza del contrario proprio nel Parlamento italiano. Perché anche se penso che Giorgia Meloni non avrebbe mai avuto l’approccio di Ardern, aprendosi così tanto al pubblico ludibrio e mettendo davanti a tutto (alla patria!) il tema del proprio benessere personale, credo che stia dimostrando come il worklife balance sia complesso ma “si possa fare” e che sopravvivere ad alta quota non sia un tema di donna o uomo, ma di persona.

Però - dedicato a tutti e tutte gli imperfetti e imperfette del mondo, dedicato a chi ha deciso che “il gioco non vale la candela”, che il comportamento della famiglia reale spetta solo alla famiglia reale, e che il Signore degli Anelli (tra l’altro, la Nuova Zelanda è il luogo dove è stato girato il Signore degli Anelli dal regista neozelandese Peter Jackson) non sia il proprio gioco - io trovo corretto, interessante e giusto il fatto di poter ammettere apertamente di non avercela fatta perché forse quello non è più il tuo posto. E avere il coraggio di cercarne un altro, insieme alla ricerca della felicità, del benessere, e anche un po’ dell’autenticità delle relazioni con le persone. Sì lo so, chi è di generazione “boomer” forse non sarà d’accordo. Ma è una cosa di cui la politica ha veramente tanto bisogno. Quella di tutte le età.

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