Diritti

Uganda: abolita la legge contro le comunicazioni offensive

La sezione 25 del Computer Misuse Act è stata spesso utilizzata per incriminare attivisti e dissidenti che si esprimevano contro il Governo. Come Stella Nyanzi, arrestata 2 volte e ora in esilio
Credit: Steve Taylor/ SOPA Images via ZUMA Wire
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31 gennaio 2023 Aggiornato alle 22:00

A gennaio, la Corte Costituzionale ugandese ha decretato all’unanimità l’abolizione della sezione 25 del Computer Misuse Act relativa alle comunicazioni offensive. La legge che regola l’uso di internet, approvata nel 2011, è stata duramente attaccata da attivisti e attiviste per i diritti umani in quanto limita la libertà di espressione: veniva infatti utilizzata per mettere a tacere coloro che si esprimevano apertamente contro il Governo Museveni.

La sezione 25, nello specifico, regolava l’utilizzo di dispositivi elettronici ed era stata utilizzata in passato per condannare chiunque si macchiasse del “crimine” di comunicazione offensiva, fino a un massimo di 5 anni di carcere. La Corte ha basato la propria scelta sul fatto che un simile provvedimento legislativo limitava la libertà di parola e di espressione e, in quanto tale, era inammissibile in un Paese democratico come l’Uganda (che ha anche firmato diversi trattati internazionali a tutela della libertà e dei diritti umani).

La decisione è stata accolta con favore da buona parte della società civile, da attivisti e avvocati, anche da Amnesty International, che aveva duramente criticato la Computer misuse act alla sua entrata in vigore. L’abolizione della sezione 25 è dunque un passo in avanti verso una maggiore garanzia dei diritti di espressione, ma non cancella l’utilizzo indiscriminato che ne è stato fatto in passato e che ha colpito molte voci illustri. Tra queste, c’è Stella Nyanzi, oggi in esilio in Germania, che è stata arrestata 2 volte per aver espresso la sua opinione contro il Governo Museveni sui social media.

Nata a Masaka, classe 1974, antropologa, scrittrice e attivista femminista e Lgbtq+, Nyanzi è stata per anni considerata una spina nel fianco dalle autorità ugandesi. Dopo la laurea in antropologia medica presso lo University College of London e il PhD in antropologia sociale alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, torna in Uganda, a Kampala, per lavorare come ricercatrice all’università. Nel 2016 fa parlare per la prima volta di sé quando, seguendo l’esempio delle attiviste di Femen, si spoglia in pubblico per protestare contro la chiusura del suo ufficio. Un gesto particolarmente potente in un contesto patriarcale e maschilista come quello ugandese, dove la nudità femminile è considerata sacra e non può essere esposta in pubblico.

Nyanzi si mostra presto inarrestabile nella sua lotta, i cui capisaldi sono i diritti umani e, in particolare, quelli della comunità Lgbtq+ - perseguitata duramente in Uganda, l’omosessualità è infatti illegale e punita con il carcere - e delle donne. Nel 2017 lancia un atto d’accusa contro il Governo, sostenuto dall’hashtag #Pads4GirlsUg, chiedendo a Museveni di rispettare la propria promessa di fornire assorbenti gratuiti a tutte le studentesse del Paese, le quali spesso si trovano a dover saltare le lezioni non avendo i soldi per comprare i prodotti necessari. La polizia cerca di arginare la campagna con intimidazioni e proibendole ogni spostamento nel Paese ma lei, ignorando il divieto, inizia a andare di scuola in scuola per informare le giovani donne sui loro diritti. Arriva a essere invitata a parlare perfino al Rotary Club di Kampala ma viene arrestata con l’accusa di aver offeso il Presidente.

Nel 2018 arriva il secondo arresto, questa volta a causa di una poesia contro Museveni. La condanna al carcere derivava proprio dalla sezione 25 del Computer Misuse Act in base alla quale Nyanzi era stata accusata di cyber bullismo e comunicazione offensiva. In seguito all’abolizione del provvedimento, l’attivista si è detta soddisfatta ma allo stesso tempo anche scoraggiata.

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