Bambini

Usa: la scuola diventa più sicura (o forse no)

Pulsanti anti panico, pattuglie di polizia, metal detector e insegnanti armati. Sono sempre più diffuse le misure adottate dagli istituti scolastici per impedire le stragi con armi da fuoco. Ma le prevengono davvero?
The photography is by Hugo Chinaglia.
Architecture and interior design: Studio Dlux
The photography is by Hugo Chinaglia. Architecture and interior design: Studio Dlux
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
19 gennaio 2023 Aggiornato alle 10:00

È stato un rientro dalle vacanze natalizie piuttosto turbolento nello Stato della Virginia. La notizia di un bambino di 6 anni che ha sparato alla maestra alla Richneck Elementary School nella città costiera di Newport News, oltre ad aver suscitato un certo orrore, ha imposto, ancora una volta, una serie di riflessioni. Anche quella sull’effettiva sicurezza delle strutture scolastiche.

Nell’ultimo quinquennio, le scuole statunitensi hanno aumentato gli investimenti sulla sicurezza: nonostante questo, gli incidenti e le stragi con armi da fuoco non sono mai stati così frequenti.

Il business della sicurezza scolastica negli Usa fattura 2,7 miliardi di dollari ed è in crescita.

Secondo i dati federali pubblicati nei giorni scorsi dalle istituzioni, su oltre 1000 scuole pubbliche sparse nel territorio nazionale, circa due terzi monitorano l’accesso al cortile della scuola e all’entrata dell’edificio, rispetto al 50% registrato nell’anno scolastico 2017-2018.

Almeno il 43% ha installato pulsanti antipanico o allarmi silenziosi per contattare la polizia in caso di emergenza, contro il 29% di 5 anni fa. E la quota sale al 78% per quegli istituti che hanno dotato le aule di serrature, rispetto al 65%, secondo i dati diffusi dal National Center for Education Statistics, un istituto di ricerca del Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti.

Almeno 10 volte l’anno un terzo degli istituti svolge esercitazioni anti-strage e prove di evacuazione.

Addirittura nel 9% delle scuole pubbliche si segnala l’uso saltuario del metal detector e nel 6% un impiego sistematico. In molte scuole la polizia pattuglia i campus, nel 3% dei casi a essere armati sono anche gli insegnanti e i dipendenti non addetti alla sicurezza.

A dispetto di tutte le misure messe in campo, il numero di incidenti, attacchi e stragi con armi da fuoco nelle scuole non fa che aumentare.

L’anno scorso, più di 330 persone sono state uccise o ferite a colpi di arma da fuoco nei cortili delle scuole, rispetto alle 218 del 2018, secondo il K-12 School Shooting Database, un progetto di ricerca che tiene traccia di tutti gli episodi scolastici in cui pistole o fucili vengono utilizzate per colpire o minacciare.

Anche il numero complessivo di incidenti - che possono includere casi in cui l’arma è stata estratta e utilizzata, ma nessuno è rimasto ferito - è salito a oltre 300, rispetto ai circa 120 del 2018 e ai soli 22 del 1999, l’anno della sparatoria alla Columbine High School, quando due adolescenti uccisero 13 persone.

Sono dati da contestualizzare. L’anno scorso episodi di questo tipo si sono registrati in circa 300 scuole, rispetto alle quasi 130.000 scuole negli Stati Uniti. Le sparatorie negli ambienti scolastici rappresentano meno dell’1% del totale delle morti per arma da fuoco dei bambini negli Usa. Ma, resta il dato di fatto, drammatico e gravissimo, che la scuola, uno dei luoghi che dovrebbe in assoluto garantire la maggior sicurezza possibile dei ragazzi, rischi ogni giorno di trasformarsi in una trappola mortale.

Secondo gli esperti molte misure adottate - come metal detector, zaini trasparenti o ronde del personale armato nei campus - non hanno alcun effetto deterrente. Altri strumenti, come telecamere di sicurezza o pulsanti antipanico, possono permettere alle forze dell’ordine di intervenire e interrompere la violenza in atto, ma è improbabile che prevengano le sparatorie.

Lo schema, in effetti, sembra essere sempre lo stesso. La stragrande maggioranza delle sparatorie viene perpetrata da studenti o ex studenti dell’istituto. Secondo una ricerca del 2019 della Hamline University nel Minnesota condotta dal professore di criminologia Jillian Peterson, molti tra i giovani autori di queste stragi avevano alle spalle storie traumatiche o elementi di rischio come crimini e violenze, e l’80% aveva espresso propositi suicidi e dato segno di una crisi prima di compiere la strage.

«I loro coetanei e i loro compagni si trovano spesso nella condizione migliore per notare e segnalare un’eventuale minaccia», ha dichiarato al New York Times, Frank Straub, direttore del Center for Targeted Violence Prevention presso il National Policing Institute, che studia come evitare le sparatorie nelle scuole.

La parola chiave, secondo gli esperti, è prevenzione. Più che investire in strumenti di sicurezza, che fino a ora non hanno dato molti risultati, occorrerebbero programmi di prevenzione, di sensibilizzazione e all’occorrenza di aiuto psicologico ai ragazzi.

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