Diritti

Usa: dove non c’è l’aborto, non c’è sicurezza economica

Secondo l’Economic Policy Institute, in quasi tutti i 26 stati che hanno abolito o limitato questo diritto ci sono salari minimi inferiori, scarso accesso ai sussidi di disoccupazione e tassi di reclusione più elevati
Credit: Jeremy Hogan/SOPA Images via ZUMA Press Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
18 gennaio 2023 Aggiornato alle 19:00

Continua ad allungarsi la lista di motivi per cui, negli Stati Uniti, i Paesi che hanno vietato il diritto all’aborto diventano ogni giorno più inospitali. Secondo un rapporto pubblicato dall’Economic Policy Institute, l’insicurezza economica è più alta in quegli stati che battono bandiera “pro-life” - così si definiscono, erroneamente, gli attivisti che si schierano contro l’aborto.

Il think tank americano senza scopo di lucro che, dalla sua sede a Washington, DC, analizza l’impatto economico delle politiche americane sul Paese, ha rilevato che quasi tutti i 26 Stati che hanno implementato nuove restrizioni o divieti totali all’aborto a partire dal ribaltamento della sentenza Roe v. Wade, ormai sette mesi fa, sono caratterizzati da livelli di sindacalizzazione e salari minimi inferiori, accessi ridotti a Medicaid e ai sussidi di disoccupazione, e tassi di carcerazione più alti rispetto agli Stati con politiche abortive più permissive.

Dallo studio intitolato “The economics of abortion bans” (L’economia dei divieti di aborto), emerge che in media, per esempio, i salari minimi sono più bassi di 3,75 dollari l’ora (8,17 dollari contro 11,92 dollari) e gli Stati che limitano l’aborto incarcerano le persone a un tasso 1,5 volte maggiore rispetto agli Stati che lo proteggono.

«Queste politiche economiche si sommano l’una all’altra. Se a questo si aggiunge il divieto di aborto, si aggravano lo stress finanziario e l’insicurezza economica», spiega alla Cnn Asha Banerjee, analista economica dell’Istituto e autrice del rapporto. Gli Stati che hanno vietato il diritto all’aborto, infatti, sono gli stessi che «stanno depotenziando economicamente le persone attraverso questi canali economici», ha aggiunto Banerjee.

Il rapporto ha analizzato i dati di 50 Stati americani e del Distretto di Columbia, dividendoli tra “protettivi” (25) e “restrittivi” (26) in base alle loro politiche sull’aborto. Nella seconda categoria figurano l’Alabama, l’Idaho e il Tennessee, che prevedono un divieto totale, ma anche Stati come la Florida, la Georgia e lo Utah, che hanno limiti di tempo massimi diversi entro i quali poter accedere all’aborto e altri tipi di restrizioni.

Lo studio di Banerjee mostra che «esiste una forte evidenza empirica del fatto che la negazione dell’aborto e i suoi divieti hanno conseguenze economiche negative, dalla prolungata sofferenza finanziaria alla riduzione dei salari e dei guadagni, dell’occupazione, del livello di istruzione e della mobilità economica”, ha dichiarato al Guardian.

Riguardo al salario minimo, il rapporto sottolinea che mantenerlo “volutamente e persistentemente basso assicura che molte persone e famiglie fatichino a coprire i costi e a uscire dalla povertà. Se la persona a cui viene negato l’aborto svolge anche un lavoro a salario minimo, l’effetto economico negativo si aggrava”. Quasi due terzi degli stati restrittivi hanno un salario minimo fissato a 7,25 $ l’ora, che secondo la Cnn è il salario orario legale più basso per la maggior parte dei lavoratori negli Stati Uniti.

In media, il tasso di lavoratori iscritti a un sindacato negli Stati restrittivi è circa la metà rispetto agli stati protettivi. Un dato simile si riscontra anche nell’accesso ai sussidi sociali, come la disoccupazione e l’espansione di Medicaid, “il programma federale e statale che aiuta a far fronte a costi medici per alcune persone con reddito e risorse finanziarie limitati”. Si tratta di «un’ancora di salvezza per le famiglie e le donne a basso reddito quando il lavoro non offre un’assistenza sanitaria adeguata», spiega Banerjee.

Secondo il rapporto, alcuni tra gli Stati anti-aborto, nonostante spesso abbiano tassi di povertà più elevati e il governo federale abbia stanziato ulteriori fondi per Medicaid, “scelgono di non prenderli (i fondi, ndr), lasciando milioni di persone senza copertura assicurativa”. Ci sono alcune eccezioni, come il Missouri, l’Idaho, il Nebraska, l’Oklahoma e il South Dakota, che vietano o limitano in qualche modo l’aborto ma hanno esteso Medicaid. Negli Stati restrittivi, inoltre, le persone disoccupate accedono ai sussidi a cui hanno diritto circa il 12% in meno rispetto agli omologhi degli Stati protettivi. E l’importo varia: in Mississippi, che vieta totalmente la pratica, gli assegni settimanali di disoccupazione ammontano, in media, a 217 dollari. In Massachussets, il cui limite per abortire è di 24 settimane, parliamo di 556 dollari.

Sono, però, le statistiche sulla carcerazione a mostrare le differenze più marcate tra i due gruppi: dopo il ribaltamento della Roe v. Wade, “alcuni Stati minacciano di imprigionare chiunque sia sospettato di aiutare o favorire un aborto, compresi medici, conoscenti, familiari e persino autisti di app di ride-sharing”, si legge nel rapporto. E le donne appartenenti alle minoranze etniche sono le sfavorite, perché “la carcerazione e i divieti di aborto si intrecciano con la lunga eredità dell’anti-Black racism sancito dallo Stato”. Banerjee spiega che «le donne nere e ispaniche sono incarcerate in modo sproporzionato. E questo ha un enorme impatto economico sui guadagni futuri e sulla capacità di trovare un lavoro».

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